Medici di base senza protezioni: “Mancano anche le mascherine”

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Ce lo stanno ripetendo ormai da settimane: qualora dovessimo percepire dei sintomi che potrebbero ricollegarsi a una infezione da coronavirus l’imperativo è assolutamente quello di evitare di recarci al pronto soccorso e rivolgerci, invece, al nostro medico curante. Ma dagli ambulatori del Lazio, che sono il primo approdo per chi teme di aver contratto il virus, arriva la denuncia: mancano mascherine e altri dispositivi di protezione.

Nel Lazio sono 4.400 i medici di base, ognuno con circa un migliaio di pazienti assegnati. Ogni medico dovrebbe, secondo le disposizioni del ministero della Salute, dotarsi di dispositivi di protezione completi: oltre alle mascherine, quindi, bisognerebbe avere occhiali, camice monouso, guanti, e cuffia. E invece la realtà è ben altra: “Non abbiamo le mascherine e per i guanti rimediamo di tasca nostra – dice F. B., medico di famiglia che opera a Roma, in zona Tiburtina – Tra l’altro, non stiamo parlando delle mascherine col filtro: secondo una ordinanza della Regione Lazio, i medici potrebbero dotarsi di qualsiasi tipo di mascherina, basta che siano protetti in qualche modo, ma non avviene nemmeno questo”. L’ordinanza di cui si parla è la Z00003 del 6 marzo che, in effetti, dispone “in conformità alle attuali evidenze scientifiche, per proteggere gli operatori sanitari, di fare ricorso anche alle mascherine chirurgiche, quale idoneo dispositivo di protezione individuale, finanche alle mascherine prive del marchio CE, previa valutazione di idoneità da parte dell’Istituto Superiore di Sanità”.

“Dovremmo ricevere 3 pacchi di mascherine a settimana, o comunque averne almeno una per ogni turno. Ma non ci sono”. La ragione è una carenza generalizzata dovuta all’emergenza: “Sicuramente c’è un problema di reperimento perché c’è una richiesta elevatissima dai grandi ospedali: non possono mancare lì, e quindi le forniture vengono indirizzate nei grandi centri – continua il medico – ma noi siamo il primo filtro del servizio sanitario nazionale. Tutti i pazienti che stanno male per qualsiasi motivo si rivolgono prima di tutto a noi. Un paziente che ha dei sintomi gravi deve assolutamente restare a casa, ma come fa a sapere di che tipo sono i suoi sintomi? Non è mica un medico. Noi siamo quelli chiamati a distinguere chi è positivo e chi è negativo, e siamo quelli più esposti ad entrare in contatto col virus. Anche perché c’è una percentuale di pazienti asintomatici che si dimostrerà, secondo me, altissima. Ci accorgiamo del coronavirus solo nei pazienti che hanno difficoltà respiratorie, ma potremmo entrare in contatto con molte altre persone positive che ancora non mostrano sintomi”.

La preoccupazione è quella di ammalarsi e di lasciare un posto vuoto: “Il presidente dell’Ordine dei medici di Varese Roberto Stella è morto ieri di coronavirus, ed era un medico di medicina generale. Il rischio per noi è concreto: se dovessero ammalarsi in gran numero i medici di base, sarebbe un problema che ricadrebbe sui pronto soccorso”. Il tema è stato sottoposto all’attenzione dell’Ordine dei medici di Roma, che il 10 marzo ha diffuso un documento approvato dal Consiglio straordinario dell’Ordine nel quale si legge che “in relazione alla protezione del personale medico, degli operatori e del personale amministrativo l’Ordine della Capitale sollecita, per quanto possibile, la pronta disponibilità di dispositivi di protezione individuale della tipologia e quantità necessaria in relazione all’attività clinica svolta e chiede che sia modificato il comma 22 dell’Ordinanza del 6 marzo 2020, prevedendo che anche il personale sanitario sia tutelato e trattato come qualsiasi altra persona, anche per evitare che possa diventare fonte di infezione”. Il comma 22 dell’Ordinanza è quello che prevede che “il personale sanitario venuto in contatto con paziente affetto da covid-19, asintomatico, prosegue la propria attività professionale”.

Il problema non riguarda solo i medici del Lazio: “Le mascherine non ci sono da nessuna parte, il Lazio è equivalente alla Lombardia e tutte le altre regioni – dice Claudio Cricelli, Presidente della Società Italiana di Medicina Generale e delle cure primarie – sono totalmente introvabili nelle quantità che servirebbero. La ragione è che non sono un oggetto di uso comune: non se ne facevano tante. E negli ultimi mesi c’è stata una corsa alle mascherine che ne ha aumentato la scarsità. I quantitativi già ridotti sono stati presi dagli ospedali e dalle strutture della protezione civile, a noi medici ne arrivano sporadicamente. Come associazione, abbiamo anche provato a comprarle ma non ci sono proprio in produzione. Ora ci stanno assicurando che la produzione riprenderà. Ma non servono solo le mascherine, perché bisogna proteggere anche il corpo con strumenti più sofisticati, che sono introvabili anch’essi, come calzari, camici usa e getta, cappelli, paraocchi, per non parlare dei presidi per la disinfezione delle mani. Le grandi strutture riescono ad approvvigionarsi ma i medici di famiglia restano in fondo alla lista”.

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