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Coronavirus, Liguori (Irbm): Forse a fine anno i primi 2-3 mln di vaccini

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Con Matteo Liguori, Managing director Irbm, abbiamo parlato di biotech e della necessità di una collaborazione pubblico-privato. E del lavoro su un vaccino contro il Coronavirus: “Il nostro auspicio è ricevere la validazione finale di Ema entro fine novembre. Se ciò avverrà, le prime decine di milioni di dosi europee, di cui 2-3 milioni destinate all’Italia, potranno essere distribuite a fine dicembre”. La versione originale di questo articolo, a firma di Carlo Buonamico, è disponibile sul numero di Fortune Italia di novembre 2020.

 

 

Le imprese del biotech italiano riportano spesso una generalizzata difficoltà a competere sul piano internazionale. Ma sono altrettanto spesso eccellenze riconosciute. Che, come nel caso di Irbm, stanno facendo tanto anche nella corsa al vaccino contro il Coronavirus. Ne parliamo con Matteo Liguori, Managing director della società.

 

 

A suo avviso, occorrerebbe un maggior supporto istituzionale affinché un’azienda biotech italiana possa competere con maggior forza nel panorama internazionale?

 

 

Il sistema del biotech è complesso in tutti i Paesi, perché c’è una necessità di fondi e di un sistema che creda veramente nell’innovazione. In Europa era previsto arrivare a investire il 3 per cento annuo del Pil nell’innovazione entro il 2020, ma non si è arrivati oltre al 2 per cento. Ciò significa che il sistema della ricerca deve fare di più. L’Italia deve riuscire a creare maggiori collaborazioni internazionali e più know-how nel campo della ricerca.

 

L’Italia, a dire il vero, è tra i primi Paesi al mondo per pubblicazioni scientifiche su riviste ad alto impact factor (l’indice che definisce l’autorevolezza e il prestigio delle pubblicazioni in ambito scientifico).

 

È vero, il sapere scientifico c’è. Ma serve una spinta per supportare un ecosistema che favorisca la collaborazione pubblico-privata che investa nell’innovazione, che creda in progetti con una visione pluriennale. Bisogna che anche a livello istituzionale si diffonda la consapevolezza che la ricerca ha bisogno di tempi lunghi per poter dare i suoi frutti. In questo settore il tempo è scandito in mesi e anni, non in giorni. L’esperienza che stiamo vivendo per la messa a punto di un vaccino efficace e sicuro contro il Covid-19 ne è l’esempio pratico.

 

Guardando al prossimo futuro, che vedrà protagonisti la Legge di Stabilità e il Recovery Fund, cosa auspica possa essere messo a punto per le aziende biotech nazionali?

 

Bisogna favorire le imprese con misure che portino a sgravi fiscali per le realtà che investono parte dei propri ricavi in ricerca e sviluppo. È opinione diffusa il fatto che la ricerca, non solo quella biotecnologica, possa portare nell’arco di tre anni a una consistente crescita del Pil. Mi auguro che nella definizione delle azioni per le quali l’Italia possa beneficiare del Recovery Fund, l’innovazione sia tenuta in alta considerazione. Credo che oggi sia evidente a tutti come la ricerca e la salute siano due elementi fondamentali su cui investire.

 

Irbm è un’azienda biotech assurta agli onori della cronaca perché è uno dei player italiani impegnato nella R&S di un vaccino contro il Covid-19. Qual è stato il primum movens che vi ha fatto decidere di impegnarvi in questa impresa?

 

La partnership con Oxford per la ricerca di questo vaccino è iniziata a gennaio. Essa si innesta su una collaborazione molto più ampia che prosegue da una decina d’anni. Il progetto unisce le competenze inglesi molto specifiche sulla famiglia dei Coronavirus (di cui Covid-19 fa parte, ndr) e la nostra expertise sugli adenovirus. Il nostro candidato vaccino, infatti, si basa sulla strategia di veicolare, attraverso un adenovirus attenuato, la proteina spike del virus – quella che genera la risposta immunitaria – ma ingegnerizzata per non dare origine a infezione. In parole più semplici facciamo trasportare all’adenovirus, che prima abbiamo reso incapace di causare danni all’organismo, la proteina spike dentro le cellule del sistema immunitario umano per favorire la produzione di anticorpi.

 

Questo progetto vi vede alleati con partner internazionali quali l’università di Oxford per la R&S e l’azienda farmaceutica AstraZeneca per gli aspetti legati alla produzione del vaccino su larga scala. Quali sono stati gli elementi chiave che hanno portato al successo di questa partnership internazionale?

 

Tra gli elementi chiave, l’elevato livello di innovatività della nostra ricerca è quello prevalente. Unito al fatto che la propensione alla collaborazione cross-border è già insito nella nostra azienda, dove i gruppi di ricerca sono formati da scienziati provenienti da tutto il mondo. Non ultimo aggiungo il fatto che nel campo dei vaccini abbiamo già dato dimostrazione del nostro know-how, avendo collaborato con Gsk allo sviluppo del vaccino contro il virus Ebola. La collaborazione con grandi aziende farmaceutiche rientra nell’ordine delle cose per una company come la nostra. Oltre a quello per lo sviluppo del vaccino per il Covid-19 abbiamo in programma un progetto di ricerca con un’altra multinazionale farmaceutica volto a trovare una molecola attiva sulla famiglia dei Coronavirus. L’obiettivo è evitare di essere impreparati a eventuali nuove situazioni sanitarie come quella che stiamo vivendo. L’accordo con AstraZeneca ha permesso al progetto Covid di assumere una dimensione globale, dal momento che questa azienda segue la fase di validazione delle fasi cliniche e la parte di preparazione alla distribuzione e commercializzazione su scala globale. Accordi con diversi Paesi prevedono già la futura fornitura di diverse centinaia di milioni di dosi. Per l’Italia, 70 milioni di dosi entro la metà del prossimo anno.

 

Dal laboratorio al paziente: a che punto di questo percorso si trova il vostro candidato vaccino?

 

Al momento in cui le sto parlando (8 ottobre) presso l’agenzia europea per i Medicinali (Ema) è in corso la rolling review dei risultati scientifici della sperimentazione del nostro candidato vaccino (candidato è il termine che si usa fino a che il vaccino non viene approvato dall’autorità regolatoria, ndr). Diversamente da quanto avviene normalmente – l’Ema valuta i dati scientifici della ricerca in vitro e sull’uomo alla fine della sperimentazione – vista l’urgenza, la valutazione di questo candidato viene eseguita via via che vengono prodotti i dati delle diverse fasi della sperimentazione, così da accelerare i tempi. Siamo cautamente ottimisti che entro fine anno si possa arrivare alla validazione finale, propedeutica all’autorizzazione all’immissione in commercio del vaccino. La convinzione della validità della ricerca scientifica che sta alla base di questo vaccino, ha portato AstraZeneca a decidere di iniziare la produzione di milioni di dosi già da alcune settimane. Pur correndo il rischio di non poterle distribuire qualora il prodotto non venisse autorizzato, questa scelta è stata operata per consentire la distribuzione del vaccino il prima possibile.

 

L’accordo tra la Commissione europea e il vostro partner AstraZeneca prevede che, se efficacia e sicurezza del candidato vaccino saranno dimostrate, le prime dosi potrebbero essere disponibili per la somministrazione ai cittadini europei entro fine anno. Certo, i tempi della ricerca non sono definibili a priori e il condizionale è d’obbligo, ma che previsioni può fare in questo senso?

 

Il nostro auspicio è ricevere la validazione finale di Ema entro fine novembre. Se ciò avverrà, le prime decine di milioni di dosi europee, di cui 2-3 milioni destinate all’Italia, potranno essere distribuite a fine dicembre iniziando dalle categorie più a rischio della popolazione, come anziani e personale sanitario. Ciò significa che la popolazione attiva europea potrà sottoporsi alla vaccinazione a partire dai primi mesi del prossimo anno. Il target complessivo è la distribuzione di 400 milioni di dosi in Europa entro metà del 2021.

 

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