Un anno da Codogno, 326 medici morti per Covid

Covid Anelli
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Tempo di bilanci, a un anno dal primo paziente italiano affetto da Covid-19, a Codogno. Un anno dopo Mattia, i medici fanno i conti con gli effetti della pandemia di Sars-Cov-2, in occasione della Giornata nazionale del personale sanitario e sociosanitario. Sono 326 i medici morti per Covid-19, tra la prima e la seconda ondata. Professionisti anziani, alcuni già in pensione ma tornati in servizio per fronteggiare l’emergenza pandemica, altri ancora giovani, molti medici di famiglia. Tante storie diverse, con un elemento in comune: la passione per una professione che “fa nascere medico e morire medico”, come ci hanno raccontato in tanti, in questi lunghi mesi.

La Giornata di oggi, per la Federazione nazionale degli Ordini dei medici chirurghi e odontoiatri (Fnomceo), “rappresenta per il nostro Paese il momento per onorare il lavoro, l’impegno, la professionalità e il sacrificio nel corso della pandemia di coronavirus di tutti i medici, degli operatori sanitari, sociosanitari, socioassistenziali e del volontariato”, ha sottolineato commosso Filippo Anelli, presidente della Fnomceo.

“Sono circa 2 milioni e mezzo le persone che sono guarite da Covid, grazie anche al fondamentale contributo di tutti gli operatori della sanità in una pandemia che ha fatto fermare il mondo e che continua a mietere vittime sia tra la popolazione che tra i medici. A oggi sono purtroppo 326 i colleghi deceduti a causa della pandemia. I medici- rivendica – hanno tenuto fede al loro Giuramento, ai principi contenuti nel Codice di deontologia medica. Si sono impegnati, con un atto solenne all’inizio della professione, a curare tutti, senza discriminazione, ad avere cura dei propri pazienti in ogni emergenza, a curarli senza arrendersi mai. Per noi medici ‘ogni vita conta”‘.

Valori “diventati drammaticamente evidenti durante l’emergenza da Covid-19. Ed è per questo che non basta il titolo accademico per chiamarsi medico, occorre l’ingresso e la permanenza nell’Ordine e l’adesione a principi autonomamente condivisi, che impegnano a mettere al servizio del bene, degli altri, della comunità le competenze acquisite. La pandemia di Covid ha messo in luce e amplificato carenze e zone grigie preesistenti nel nostro Servizio sanitario nazionale, frutto di decenni di tagli lineari e di politiche alimentate da una cultura aziendalistica che guardava alla salute e ai professionisti come costi su cui risparmiare e non come risorse sulle quali investire. Carenze nella sicurezza che hanno portato molti medici a contagiarsi, alcuni a pagare con la vita il loro impegno”.

E’ lunga la lista dei camici bianchi che, come gli infermieri e i farmacisti, hanno perso la vita in questa pandemia. Il primo medico caduto è stato Roberto Stella, presidente dell’Ordine di Varese. “Da quell’undici marzo, giorno in cui il nostro compianto Roberto Stella ci ha lasciato, le bandiere della Federazione nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri sono rimaste a mezz’asta in segno di lutto”, ricorda Anelli tornando a sottolineare l’importanza di proteggere i medici.

“Abbiamo il dovere di proteggere i nostri operatori sanitari, come fondamento per la sicurezza delle cure. Per questo – ribadisce – la vaccinazione dei medici e degli operatori sanitari rappresenta il dispositivo di protezione individuale più efficace”.

Sottolinea l’impegno esemplare dei ‘camici bianchi’ italiani il messaggio di Papa Francesco, letto da Monsignor Vincenzo Paglia. Un messaggio che – nei giorni dell’attesa della vaccinazione contro Covid-19 – evoca un farmaco speciale, una sorta di vaccino dell’anima. “Desidero rivolgere” agli operatori sanitari “un pensiero speciale, ricordando lo svolgimento generoso, e a tratti eroico, della loro professione vissuta come una missione. L’esempio di tanti nostri fratelli e sorelle, che hanno messo a repentaglio la propria vita fino a perderla, suscita in tutti noi viva gratitudine ed è motivo di riflessione”, scrive Papa Francesco.

“La dedizione di quanti, anche in questi giorni, sono impegnati negli ospedali e nelle strutture sanitarie è un vaccino contro l’individualismo e l’egocentrismo e dimostra il desiderio più autentico che abita nel cuore dell’uomo: farsi accanto a coloro che hanno più bisogno e spendersi per loro”.

Per il ministro della Salute Roberto Speranza non ci sono dubbi: “Investire sul Servizio sanitario nazionale è il modo migliore di dire grazie a chi ogni giorno si prende cura di noi”.

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