Variante indiana più contagiosa, ecco perché

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La variante indiana possiede alcune caratteristiche che la rendono più contagiosa. A ‘certificarlo’ è uno studio italiano condotto da un team prestigioso di ricercatori e pubblicato al momento su BioRxiv. Tra le firme, anche il ‘cacciatore di varianti’ Massimo Ciccozzi, responsabile dell’unità di Statistica medica ed Epidemiologia della facoltà di Medicina e Chirurgia del Campus Bio-Medico di Roma.

“Abbiamo analizzato in dettaglio la variante indiana B.1.617+ – racconta Ciccozzi, che firma lo studio insieme a colleghi come Davide Zella (co-direttore del Laboratorio di Biologia delle cellule tumorali all’Institute of Human Virology dell’Università del Maryland), Roberto Cauda (Istituto di Clinica delle Malattie infettive Università Cattolica), Arnaldo Caruso (presidente della Società italiana di virologia; Dipartimento di microbiologia e virologia degli Spedali Civili di Brescia) e Antonio Cassone (Dipartimento di Genomica, Genetica e Biologia dell’Università di Siena) – E abbiamo studiato in particolare due mutazioni rivelatesi particolarmente importanti della variante indiana“.

Si tratta delle mutazioni E484Q e e P478K. Queste mutazioni “sembrano agire di comune accordo nello stabilizzare maggiormente la Spike, e consentire al virus di agganciarsi meglio nelle nostre cellule. Questo – aggiunge Ciccozzi – spiegherebbe perché gli inglesi sono preoccupati e stanno monitorando gli andamenti dei contagi proprio alla luce della variante indiana. Inoltre da uno studio inglese appare che il vaccino AstraZeneca copre questa variante al 60% mentre i vaccini a mRna all’88%”. Nel Paese inoltre “la comunità indiana è prevalente”, e questa maggior contagiosità della variante desta allarme. “Il nostro studio è coerente con le osservazioni fatte in Gran Bretagna”, continua l’esperto.

Ma allora cosa ci dicono questi risultati sull’intervallo fra prima e seconda dose dei vaccini? “In questo caso per Pfizer vanno mantenute le 3 settimane, perché con la prima dose la copertura è del 33%. E questo accade anche con AstraZeneca: quindi le due dosi non vanno somministrate a una distanza eccessiva”, conclude Ciccozzi.

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