Pillole anti-Covid e prospettive, l’analisi di Luca Pani

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La lotta a Sars-CoV-2 potrebbe essere a una svolta. All’orizzonte si profilano due nuove armi da mettere in campo nella battaglia contro il virus: si tratta delle pillole anti-Covid, cioè potenti farmaci antivirali. Prima Merck & Co, e più recentemente Pfizer, hanno reso noto i dati promettenti dei loro trattamenti farmacologici (rispettivamente Molnupiravir e Paxlovid) da somministrare sotto forma di compressa orale nei giorni immediatamente successivi alla comparsa dei sintomi di Covid-19 per prevenire la progressione verso una malattia più grave.

Per fare il punto della situazione su questi trattamenti, abbiamo raggiunto Luca Pani, ex direttore generale dell’Agenzia italiana del farmaco (Aifa), oggi docente alla University of Miami negli States e a Modena in Italia.

“La cosa interessante – osserva l’esperto – è che questi farmaci per il meccanismo d’azione che possiedono funzionano sulle mutazioni del virus che il Centers for Disease Control & Prevention (Cdc) in Usa ha classificato come “varianti di preoccupazione”, tra cui le mutazioni Delta, Gamma e Mu”.

Come agiscono? Nel caso di molnupiravir (che ricordiamo essere già stato approvato nel Regno Unito e in attesa del via libera di Fda e Ema ndr) il farmaco introduce “errori” nel codice genetico del virus, impedendone la duplicazione. “Dato che il coronavirus utilizza l’Rna come il suo proprio materiale genetico – precisa Pani – e che la struttura del Molnupiravir assomiglia ai blocchi chimici (nucleosidi) usati per costruire l’Rna virale questo farmaco, e altri simili, agiscono incorporandosi nell’Rna virale mentre viene sintetizzato producendo moltissime mutazioni non funzionali. Quando l’Rna viene tradotto in proteine virali, queste non funzionano più e il Sars-CoV-2 perde la capacità di replicarsi. Tutto questo – osserva – non è molto diverso da altri antivirali già approvati – penso a i farmaci correlati per le infezioni da Herpes virus e agli inibitori della trascrittasi inversa per l’infezione da Hiv – che, anche attraverso meccanismi diversi, interferiscono con la replicazione del Dna o Rna virale”.

È importante ricordare che “questi farmaci sono stati dati per lo più a persone che avevano più di 60 anni o a coloro che erano più giovani ma avevano altre condizioni che li mettevano ad alto rischio se affetti da Covid-19, come diabete, malattie cardiache o l’obesità”. Inoltre, sottolinea Pani, “le agenzie regolatorie dovranno anche decidere se possono essere somministrati a persone vaccinate, dato che solo gli individui non vaccinati sono stati inclusi nella sperimentazione”.

L’ex dg Aifa suggerisce anche un altro aspetto importante da approfondire: “Nella sperimentazione, non solo sono state escluse le donne in stato interessante, che allattavano o che prevedevano una gravidanza, ma gli uomini arruolati nella sperimentazione non potevano avere rapporti sessuali non protetti per una settimana dopo aver assunto il farmaco in base alla preoccupazione che questo potesse interferire con la replicazione dell’Rna necessaria per lo sviluppo del feto e causare difetti alla nascita. Su questo punto – sottolinea – c’è ancora da studiare”.

Al di là dell’efficacia di questo tipo di farmaci, non bisogna dimenticare che la vaccinazione rimane l’arma fondamentale per prevenire l’infezione da Sars-CoV-2 e rallentarne la diffusione. Su questo punto Pani esprime alcune preoccupazioni: “L’attenzione su questi antivirali orali potrebbe distogliere l’attenzione dalla necessità della vaccinazione. Alcune persone potrebbero pensare che non è più necessario vaccinarsi perché si avrà accesso a questi farmaci. Ma non si possono scambiare le due strategie, una è preventiva e l’altra è terapeutica. Le persone che sono vaccinate hanno una probabilità molto più bassa di ammalarsi e di aver bisogno di qualsiasi trattamento. Se non l’avete già fatto – conclude – la cosa più importante è vaccinarsi”.

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