Tumori e accesso all’innovazione, il ruolo delle associazioni

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Ogni giorno di ritardo nell’inizio della terapia può essere decisivo per i malati di tumore, i quali sentono forte l’esigenza di accesso all’innovazione in oncologia in modo sostenibile. “E’ arrivato il momento di fare una riforma di tipo regolatorio e riorganizzare tutti gli strumenti che oggi in Italia possono accelerare l’accesso ai farmaci oncologici innovativi”. Ad affermarlo è Elisabetta Iannelli, segretario generale della Favo, la Federazione delle associazioni di volontariato in oncologia, che ne ha parlato anche nel recente evento su ‘Come costruire un ecosistema favorevole all’innovazione farmaceutica oncologica’.

“Siamo intervenuti in diverse occasioni su questo tema – rivendica Iannelli – e anche la norma sui 100 giorni è stata il frutto dell’allarme lanciato da Favo insieme ad Aiom fin dal 2010 sui ritardi inaccettabili nell’accesso alle nuove terapie oncologiche, che ha portato all’approvazione di norme specifiche, a partire dal cosiddetto decreto Balduzzi, rafforzate dal ministero Lorenzin. Oltretutto, all’epoca non c’erano i farmaci oncologici innovativi che oggi sono disponibili o all’orizzonte”.

Ma cosa prevede la norma sui 100 giorni? Per quanto riguarda i farmaci orfani e per quelli di eccezionale rilevanza terapeutica e sociale si apre una corsia preferenziale nell’iter di autorizzazione e di negoziazione, per assicurare tempi ridotti e certi nella dispensazione a carico del Ssn. Per queste categorie di farmaci, infatti, l’Aifa è tenuta ad esaminare i dossier con assoluta priorità, per chiudere l’iter – appunto – entro 100 giorni.

“I 100 giorni sono un passo avanti, anche se – avverte Iannelli – sappiamo che non sono ancora rispettati. Adesso poi abbiamo, oltre alla procedura dei 100 giorni, una serie di altri strumenti per l’accesso precoce, che vanno dalla legge 648/1996 alla legge 326/2003, fino alla “classe non negoziata”. Questi strumenti consentirebbero di coprire l’emergenza e di dare il farmaco al paziente, ma bisogna fare una riforma organica, di tipo regolatorio, per mettere a sistema tutti questi interventi normativi stratificati nel corso di venticinque anni”. Anche il Piano oncologico europeo “ci dà una serie di indicazioni preziose, tra le quali c’è proprio l’esigenza di una riforma dal punto di vista regolatorio per snellire ulteriormente le procedure”.

Questo “per sistematizzare il ricorso all’accesso precoce, ma anche per consentire un monitoraggio successivo su efficacia e sicurezza dei trattamenti, i cui dati sono davvero preziosi ma rischiano di andare persi – ci dice Iannelli – Il tema è particolarmente importante, oggi, per quanto riguarda i tumori rari, che hanno meno opzioni terapeutiche: l’esigenza di accedere a molecole innovative può fare la differenza tra la vita e la morte; ma questo non deve ingenerare nei pazienti false aspettative, che sono ancor più dolorose”.

Sapere che c’è una nuova possibilità di cura per il malato per poi scoprire che non è la cura giusta per quella persona, è un rischio da evitare affinchè non diventi un drammatico boomerang che annienta la speranza. Ecco dunque che da parte delle Associazioni dei pazienti è molto sentita “l’esigenza di un’informazione corretta, chiara e validata scientificamente. Perché – riflette il segretario generale della Favo – non è detto che le nuove molecole siano utili ed efficaci per tutti. Dunque è essenziale anche diffondere l’impiego (e la conoscenza) dei biomarcatori per le terapie a bersaglio molecolare e per l’immunoterapia. Occorre agganciare la caratterizzazione molecolare al farmaco innovativo“. E c’è ancora molto da fare.

“Se però vogliamo fare un ragionamento di economia sanitaria, questo è anche un approccio da buon padre di famiglia. Sapere di poter dare il farmaco giusto alla persona giusta, infatti, consente non solo di favorire l’accesso all’innovazione, ma anche di evitare trattamenti non efficaci ed effetti collaterali che possono essere risparmiati al paziente con conseguente economia dei costi sia sanitari che sociali. Le terapie personalizzate significano anche una migliore, più efficace e più efficiente allocazione delle risorse economiche”. Il costo dei biomarcatori va considerato un investimento, poiché consente di evitare sprechi e di rendere più efficace l’intervento terapeutico.

Ma in che modo le associazioni dei pazienti possono essere coinvolte nel processo da parte dell’Agenzia italiana del farmaco? “Intanto bisogna dire che il coinvolgimento effettivo delle associazioni da parte di Aifa è andato scemando negli anni, mentre è vero che un ascolto attento della voce dei pazienti sarebbe utile per l’Agenzia. Deve trattarsi, però, di un coinvolgimento attivo e sostanziale affinchè il contributo delle Associazioni all’Agenzia sia effettivo e concreto. Il tempo dei pazienti è davvero prezioso, dunque un coinvolgimento solo formale sarebbe un inutile spreco di risorse da ambo le parti. Invece, nel rispetto dell’autonomia e dell’indipendenza delle associazioni rispetto alle aziende, la Favo e le altre Federazioni e associazioni di malati rari o di altre patologie croniche-ingravescenti possono portare ad Aifa elementi preziosi, frutto diretto della patient experience”.

Ad esempio, nella valutazione dell’innovatività “che poi è parte dell’health technology assessment (Hta), possiamo dare elementi per individuare il valore del farmaco a 360 gradi. Il paziente può dire, ad esempio, se un certo trattamento che ha un’alta tossicità, ma consente qualche mese di vita in più, sia preferibile o meno al fatto di avere una migliore qualità di vita negli ultimi mesi. Dal punto di vista medico-scientifico – riflette Iannelli – l’aumento anche solo di pochi mesi della sopravvivenza può essere considerato determinante, ma dal punto di vista dei pazienti la presenza di una tossicità importante, tale da influire sulla qualità di vita, è particolarmente rilevante”.

Anche la “modalità di somministrazione può essere un elemento rilevante per valutare l’innovatività del farmaco: passare da una flebo che dura due ore e va fatta in day hospital a una somministrazione sottocutanea di pochi minuti, che può essere fatta in luoghi di cura più vicini al domicilio del malato, ha una serie di ricadute sul lavoro e sulla vita quotidiana del paziente e dei familiari davvero importante. Certo, occorre tener ben presente il tema di sicurezza: poter somministrare il farmaco in una casa della salute, alla presenza di uno staff in grado di intervenire in caso di reazioni avverse, dà evidenti vantaggi rispetto all’ospedale”.

“Insomma, la valutazione del valore del farmaco non può più essere limitata ai soli fattori clinici, ma deve tener conto anche degli altri aspetti che incidono sulla qualità di vita dei pazienti, tra cui gli elementi psicosociali”, conclude Iannelli. Ecco che il punto di vista dei pazienti può rivelarsi davvero prezioso ed insostituibile.

 

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