Stop Ema a farmaco anti-Alzheimer, il parere dell’esperto

ictus Rossini
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L’Europa dice no a all’autorizzazione di aducanumab, la terapia contro la malattia di Alzheimer sviluppato da Biogen con Eisai. Il Comitato per i medicinali per uso umano (Chmp) dell’Agenzia europea per i medicinali (Ema) ha espresso nei giorni scorsi parere negativo riguardo alla domanda di autorizzazione all’immissione in commercio del farmaco, sollevando dubbi sull’efficacia e sui dati dei trial clinici.

Aducanumab – che invece è stato autorizzato lo scorso giugno dalla Fda statunitense – è un anticorpo monoclonale che si somministra per via endovenosa, diretto contro la beta-amiloide, una proteina responsabile della formazione delle placche nel cervello delle persone con Alzheimer, caratteristica fisiopatologica che definisce la malattia.

Aducanumab era destinato al trattamento delle prime fasi della malattia, nota come fase di deterioramento cognitivo lieve (Mci) e fase di demenza lieve. L’Ema ha osservato che, sebbene il farmaco riduca la beta-amiloide nel cervello, il legame tra questo effetto e il miglioramento clinico non è stato stabilito. Per l’Agenzia europea i risultati degli studi principali sono stati contrastanti e non hanno mostrato nel complesso che aducanumab fosse efficace nel trattamento di adulti con malattia di Alzheimer in fase iniziale.

Ema ha inoltre messo in dubbio la sicurezza del farmaco, sottolineando che gli studi non hanno dimostrato che il medicinale fosse sufficientemente sicuro, concludendo che i benefici non superano i rischi. Biogen ha annunciato che chiederà un riesame del parere espresso dall’Ema. Il colosso farmaceutico ha inoltre dichiarato che, “come parte del processo di riesame, cercherà di rispondere efficacemente alle motivazioni espresse nel parere negativo del Chmp con l’obiettivo di rendere questo farmaco disponibile in Unione Europea”.

Per capire meglio le motivazioni che hanno indotto lo stop da parte di Ema, e per avere una valutazione autorevole sul farmaco, abbiamo raggiunto Paolo Maria Rossini, direttore del Dipartimento di Scienze neurologiche e riabilitative dell’Irccs San Raffaele Roma.

“Da un punto di vista dell’efficacia biologica il farmaco svolge l’azione che ci si aspettava, ovvero va a contrastare un ulteriore accumulo di beta-amiloide, o parzialmente diluire o sciogliere le placche depositate nel cervello dei pazienti”, osserva l’esperto. “Il punto – sottolinea – è che dai dati resi noti da Biogen emergono diversi problemi. Il primo è che dal lato dell’efficacia clinica il farmaco è molto scarso: soltanto una percentuale bassa di pazienti, di cui non conosciamo la tipologia, sembra aver avuto un beneficio rispetto a quelli che hanno assunto placebo. I benefici sono stati una stabilizzazione della malattia o un rallentamento del suo decorso, mentre nella stragrande maggioranza dei casi di fatto la malattia ha avuto una progressione simile a quella di chi non assumeva il farmaco, e perciò non ha avuto un impatto positivo per quanto riguarda la modifica dell’andamento naturale della malattia”.

“C’è poi un secondo aspetto da tenere in considerazione – continua Rossini – ovvero quello degli effetti collaterali, che in questo caso non sono banali né come tipologia né come numero. In una percentuale importante di soggetti, un terzo all’incirca, si possono sviluppare un edema del cervello o delle micro emorragie. Per cui, nella gestione del farmaco, oltre a quelli che sono i costi vivi del medicinale stesso, va considerata la necessità di effettuare una risonanza magnetica ogni due mesi circa, per monitorare la presenza o meno di questi effetti collaterali e, nel caso siano presenti oltre un certo livello, interrompere la cura. E poi c’è il problema dei costi: in Usa, per quello che ci è dato sapere, la cifra si aggira sui 50 mila dollari per paziente all’anno. Immagino che queste tre problematiche accumulate tra di loro abbiano indotto l’Ema a una valutazione negativa”.

Rossini solleva poi un altro “dubbio”, ovvero “quello di riuscire a capire qual è il ruolo della beta-amiloide nella genesi e nella progressione della malattia, perché se il farmaco da una parte agisce e dall’altra non modifica l’andamento della malattia, viene il dubbio che tutti gli investimenti fatti finora sui farmaci anti beta-amiloide siano in qualche modo fallimentari, cioè non efficaci nella cura. Sarebbe importante avere accesso a tutte le carte che Biogen ha accumulato nel corso dei trial clinici per capire chi sono e come sono fatti quei pazienti sui quali il farmaco avrebbe avuto una qualche efficacia. Ma questa è una cosa che compete alle autorità sanitarie, naturalmente”.

Per l’esperto “ci ritroviamo da una parte con la soddisfazione di avere finalmente un farmaco che ha dimostrato sull’uomo in vivo una sua efficacia biologica su uno di quelli che ancora oggi è ritenuto tra i principali responsabili della malattia; dall’altra con la delusione di sapere che se il farmaco viene somministrato in fasi di malattia conclamata, anche se in forme relativamente iniziali, l’efficacia sembra essere stata modesta, o comunque non sufficientemente significativa sul piano statistico per convincere gli esperti dell’Ema”.

La strada per vincere la battaglia contro l’Alzheimer è ancora lunga: “Noi chiamiamo questa malattia con un nome unico che è quello di demenza o demenza da Alzheimer, ma è un errore – avverte l’esperto – perché ci sono tante forme di demenza. Le cause sono tantissime e pesano in maniera diversa da paziente a paziente. Per cui è plausibile che andranno cercate cure diverse che aggrediscano i vari fattori e, sui singoli pazienti, bisognerà arrivare a poter ritagliare quasi in modo sartoriale il cocktail di farmaci che colpisce in modo prevalente quelli che sono i loro fattori di malattia. Siamo ancora all’inizio di questo percorso. Un piccolo gradino forse è stato fatto. Gradino dopo gradino speriamo di arrivare alla fine di questa salita”, conclude Rossini.

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