Tumori e Covid, i rischi per i malati oncologici

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Quelli che affrontano un tumore sono pazienti particolarmente fragili, e con la quarta ondata pandemica rischiano di dover fare i conti – ancora una volta – con pesanti difficoltà per visite, interventi e controlli.

I casi in crescita e la pressione sugli ospedali sta infatti portando a una nuova riduzione dell’attività non-Covid. E questo mentre i ritardi accumulati nelle prime fasi pandemiche non erano ancora stati colmati. Ad accendere i riflettori in particolare sui tumori e sui malati oncologici sono i primari oncologi, che in una lettera aperta evidenziano i rischi della nuova “fortissima riduzione di attività diagnostiche e interventi chirurgici per molti pazienti e anche per i malati oncologici”.

Se siamo ancora a questo punto, dopo due anni di pandemia, “sicuramente qualcosa non ha funzionato e sarebbe corretto ammetterlo. Anche perché le soluzioni per evitare ulteriori ritardi e che i progressi raggiunti in termini di guarigione e di sopravvivenza per i malati oncologici vengano vanificati dalla pandemia ci sono: dal potenziamento reale della medicina territoriale alle cure precoci domiciliari fino all’utilizzo di medici pensionati e medici militare negli Hub vaccinali per far sì che i medici degli ospedali non siano sottratti ad attività fondamentali come la diagnostica”, si legge nella lettera.

Con estrema lucidità Luigi Cavanna, presidente del Cipomo (Collegio Italiano Primari Oncologi Medici Ospedalieri), sottolinea come “per una malattia tempo dipendente come il cancro, il ritardo della diagnosi e dell’intervento chirurgico (si pensi ai tumori di stomaco, colon, mammella, ecc), può significare la perdita di possibilità di guarigione vera ed essere quindi destinati a morire per una malattia che, se trattata in tempo utile, poteva essere guaribile”. Insomma, i ritardi e i rinvii nel caso dei tumori sono letali.

Ma se “a marzo-aprile 2020 si è accettato che una buona parte degli ospedali pubblici e privati del nostro Paese fosse riconvertita per le cure esclusive di malati Covid, con sospensione o fortissima riduzione delle attività diagnostiche e di interventi chirurgici per molti pazienti – malati oncologici compresi – diventa ora molto difficile accettare che tutto questo si stia ripetendo dopo quasi due anni di pandemia”.

Insomma, il punto è che “due anni in ambito medico, scientifico e sanitario sono una enormità. In due anni cambiano tantissime conoscenze, merito della ricerca, non solo biomedica, farmacologica e tecnica, ma anche organizzativa, relazionale ecc. Perché dopo 2 anni gli ospedali si stanno nuovamente riempiendo di malati Covid? Perché gli interventi diagnostici e chirurgici anche per i malati oncologici sono ancora ritardati-rimandati? Sicuramente qualcosa non ha funzionato e crediamo sia corretto ammetterlo”, sottolinea Cavanna.

Le richieste dei primari oncologi sono chiare: potenziare finalmente la medicina territoriale, sviluppare una volta per tutte le cure precoci domiciliari, in modo da lasciare liberi gli ospedali. Non solo, dal momento che esistono farmaci per bocca per le cure precoci a domicilio di Covid, “si sviluppino protocolli diagnostico/terapeutici su base scientifica per le cure domiciliari e si raccolgano i dati e si faccia ricerca. La cura precoce domiciliare deve prevedere un approccio multidisciplinare tra medici del territorio, medici specialisti ospedalieri, medici delle unità speciali di continuità assistenziale”.

E ancora, negli Hub vaccinali “non vengano dirottati i medici degli ospedali, sottratti ad attività fondamentali come la diagnostica (endoscopie, ecografie, ecc) con conseguente impatto molto negativo sui tempi di diagnosi. Si chiamino medici pensionati, si dia l’incarico a medici militari, ecc”.

I primari oncologi sono critici anche nei confronti della comunicazione, non quella sui tumori (che in questi anni si è drasticamente ridotta), ma quella sulla pandemia. “Troppi “virologi”, terminologia introdotta per il grande pubblico, parlano della pandemia “alzando i toni” l’uno contro l’altro, spesso ridicolizzando chi la pensa diversamente. Non va bene. Abbiamo imparato anni fa, durante le manifestazioni a sostegno della “cura di Bella” che ridicolizzare, parlare con arroganza, non paga, anzi spesso si ottiene l’effetto opposto. Sarebbe opportuno che si parlasse con più umiltà, avendo il coraggio di dire che molti aspetti ancora non si conoscono e qualche volta dire “non lo so”, si deve cercare di unire le persone, infondere tolleranza, fiducia e rispetto, anche per chi la pensa diversamente”.

Insomma, per Cipomo le soluzioni possibili esistono e devono essere attuate. Perché “esistono purtroppo tante altre categorie di malati oltre ai pazienti Covid, e molte malattie come il cancro sono tempo dipendenti. E mentre un’alta percentuale di malati Covid può essere curata in sede extra ospedaliera, questo non è possibile per chi deve essere operato per un carcinoma del colon, dello stomaco, del polmone, della mammella o un altro tumore”.

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