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La babele delle vaccinazioni non Covid

vaccinazioni infanzia
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Situazioni diverse da Regione a Regione, ma anche tra Asl e Asl. Nel caso delle vaccinazioni per l’infanzia (quelle ‘classiche’, non contro il coronavirus) ci si imbatte in una vera e propria  babele, tra regole e accordi regionali per la somministrazione dei vaccini negli studi medici e tempi di attesa allungati dalla pandemia. In alcune Asl o distretti occorrono anche tre mesi tra la prenotazione e l’effettiva somministrazione delle vaccinazioni obbligatorie (non Covid), con attese medie che vanno da 4/8 giorni fino anche ai 20/40 giorni a seconda delle Regioni.

A segnalarlo è un’indagine svolta da Cittadinanzattiva nell’ambito del progetto “Carta della qualità dei servizi vaccinali”, promosso con il contributo non condizionato di Gsk, Msd E Sanofi.

Le discrepanze, spiegano gli autori, non sono solo fra le Regioni ma anche fra le singole Asl. A sorpresa, si aspetta mediamente di più al Nord rispetto al Sud. Bene Puglia e Toscana dove non si superano mai i 15 giorni di attesa. Sui tempi ha inciso direttamente la pandemia se si pensa che, fra marzo 2020 e fine 2021, oltre il 40% dei Centri vaccinali ha subito riduzione di personale e degli orari di apertura; uno su dieci è stato addirittura chiuso. A fine 2021 tutti i centri sono stati riaperti, nel 80% dei casi gli orari sono stati ripristinati, mentre la dotazione di personale è ritornata al livello precedente la pandemia solo nel 47% dei Centri.

Poco chiara l’informazione sulla possibilità di effettuare le vaccinazioni presso gli studi dei medici di famiglia e dei pediatri: i siti web delle Regioni e delle Asl segnalano come “disponibili alle vaccinazioni” soltanto il 38% degli studi dei medici di famiglia e il 48% degli ambulatori pediatrici.

Mancano inoltre informazioni precise su tipologia di vaccinazione erogata e su modalità di prenotazione, nonostante la stessa sia obbligatoria per la gran parte dei centri. Garantiscono la vaccinazione anche in orario pomeridiano il 79,5% dei Centri, l’84% degli studi dei medici e il 75% degli studi pediatrici; questa possibilità è garantita di sabato solo nel 2% dei centri vaccinali, nel quasi 39% degli studi medici e nel 25% di quelli pediatrici.

“È urgente raggiungere una maggiore uniformità nelle vaccinazioni, poiché le differenze evidenziate creano iniquità e rischiano di minare la fiducia nelle istituzioni sanitarie. Nel nuovo Piano nazionale di prevenzione vaccinale chiediamo una rimodulazione dell’offerta più uniforme tra Regioni e Asl e di istituire dei requisiti minimi organizzativi per favorire una maggiore accessibilità. La prevenzione resta una grande assente nel Pnrr e, a maggior ragione, crediamo che il Servizio sanitario nazionale debba disporre di un calendario vaccinale nazionale unico, costruito sulla base di obiettivi di salute uniformi su tutto il territorio”, afferma Valeria Fava, responsabile politiche della salute di Cittadinanzattiva.

L’indagine è stata svolta tramite interviste e questionari agli assessorati regionali alla sanità (8 quelli che hanno risposto), ai Centri vaccinali (147 di 13 regioni), ai medici di famiglia e pediatri di libera scelta (rispettivamente 212 di 17 regioni e 270 di tutte le regioni). I dati dettagliati saranno presentati ad inizio marzo, insieme alla Carta della qualità dei servizi vaccinali che Cittadinanzattiva sta mettendo a punto in collaborazione con un tavolo multistakeholder che comprende, fra gli altri, ministero della Salute, Fimmg, Simg, Fimp, Sip.

Fra gli altri dati del report, il 50% dei pediatri e il 60% dei medici affermano che non è facile convincere i pazienti a vaccinarsi. Inoltre, più di uno su tre (fra il 34% dei pediatri e il 42% dei medici) segnala la difficoltà di conciliare le vaccinazioni con le attività ambulatoriali “ordinarie” e più di uno su cinque dice di non avere gli spazi o il personale necessario per vaccinare i propri pazienti.

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