Innovazione in oncologia, la ‘ricetta’ Walce

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In questa fase della pandemia oncologi e associazioni dei pazienti sottolineano l’esigenza di realizzare in Italia un ecosistema più favorevole all’innovazione farmaceutica in oncologia, e più capace di garantire attenzione in tempo reale ai bisogni dei pazienti.

Un approccio multilivello, che riguarda l’intero ciclo di vita dei farmaci e delle tecnologie mediche, che garantisca accessibilità rapida e uniforme all’innovazione in oncologia. Ne parliamo con Stefania Vallone, segretario del direttivo dell’Associazione Walce onlus – Women Against Lung Cancer in Europe.

“Nonostante gli investimenti in ambito oncologico siano aumentati notevolmente negli ultimi anni, l’ecosistema non è ancora realmente favorevole ai pazienti. Rimane ancora molto da fare, perché l’innovazione portata avanti dalla ricerca in questi anni in realtà non è ancora realmente disponibile e accessibile a chi ne ha diritto e bisogno. È un po’come se nel nostro Paese il sistema viaggiasse a due velocità: da un lato c’è la ricerca che produce bene a ritmo costante e sostenuto, dall’altro c’è un sistema che è un po’ macchinoso o comunque impreparato a rispondere in modo rapido a quello che l’innovazione richiede, creando disparità su tutto il territorio nazionale.”

“L’innovazione richiede anche infrastrutture adeguate a rispondere a questi bisogni e un percorso burocratico meno complesso. Il quadro regolatorio dovrebbe essere rivisto non solo in ottica di un coinvolgimento dei pazienti, ma anche nell’ottica delle tempistiche delle procedure. Le difficoltà maggiori riscontrate dai pazienti nell’accesso all’innovazione sono molteplici. Prima di tutto c’è bisogno di avere informazioni corrette e aggiornate. Molto spesso i pazienti hanno informazioni prese qua e là da fonti diverse, che risultano frammentarie e non sempre comprensibili”.

“Il ruolo delle associazioni in oncologia – dice Vallone – è importante nel dare supporto ai pazienti da questo punto di vita. Penso ad esempio ai test genomici, agli studi clinici, che sono fondamentali. Un altro grandissimo problema riguarda la mancanza di rimborsabilità dei test. Questo oggi è possibile solo in poche strutture italiane. In quanto a rimborsabilità, a differenza di quanto succede in Usa, dove Fda approva sia i test per identificare il biomarcatore sia il farmaco corrispettivo, in Italia questa approvazione è disgiunta”.

“Quindi la situazione che si può creare in alcuni casi è che noi abbiamo a disposizione la terapia ma non il test che ci consente di utilizzarla. In ultima analisi, occorrono equipe multidisciplinari che supportino il paziente a 360 gradi”, conclude.

E’ possibile continuare ad approfondire il tema sulla pagina dedicata al progetto: “Come costruire un ecosistema favorevole alla innovazione farmaceutica oncologica”.

 

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