Melanoma in epoca Covid, casi più gravi e diagnosi tardive

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L’ombra lunga di Covid-19 si allunga su altre patologie, cancellando screening e allontanando le diagnosi. Così non stupisce troppo come, anche nei primi mesi del 2021, in Italia si siano riscontrati melanomi più severi e diagnosi più tardive. E’ quanto emerge da uno studio condotto presso la Melanoma Unit dell’Istituto Dermopatico dell’Immacolata (Idi) di Roma, diretta da Francesco Ricci.

Già nel primo anno di pandemia gli specialisti avevano segnalato questo preoccupante fenomeno. Ora lo studio, pubblicato sul Journal of the European Academy of Dermatology and Venereology, ha confermato che la gravità dei melanomi diagnosticati presso l’Idi nei primi mesi del 2021 si è mantenuta più elevata rispetto al periodo precedente alla pandemia da Covid-19.

Dal lavoro emerge che nel periodo dello studio (gennaio-giugno 2021) i nuovi casi di melanoma riscontrati sono stati 294, con un numero medio di nuove diagnosi pari a 1,9 al giorno (leggermente inferiore rispetto alle 2,3 nuove diagnosi giornaliere osservate presso l’Istituto Idi di Roma in fase pre-pandemica). Dunque meno diagnosi, ma in fase più avanzata.

“Già nel 2020 – ricorda Ricci – avevamo osservato un aumento significativo della gravità dei nuovi casi di melanoma con un aumento sostanziale del loro grado di infiltrazione (ovvero lo spessore di Breslow che era passato da una media di 0,88 mm nella fase pre-pandemica ad una media di 1,96 mm nell’immediato post-lockdown)”.

Come spiega Damiano Abeni, direttore dell’Unità di epidemiologia clinica dell’Idi, “abbiamo osservato che, nonostante nel 2021 il numero di diagnosi giornaliere di melanoma sia tornato quasi alla media pre-pandemica, la maggiore gravità dei melanomi osservata nell’immediato post-lockdown del 2020 si è ripetuta anche nei primi mesi del 2021. Questa maggiore gravità è stata evidente sia per quanto riguarda lo spessore di Breslow medio, sia per le caratteristiche cliniche di questi tumori (con una maggiore proporzione di melanomi nodulari, ulcerati e/o con una componente di crescita nodulare). Tuttavia, la percentuale di melanomi meno severi (in situ) è rimasta sostanzialmente stabile nelle varie fasi pandemiche (24-28% del totale dei melanomi) ed è molto vicina ai valori osservati nel periodo 2018-2019″.

“Questo dato – prosegue Abeni – potrebbe essere spiegato dal fatto che proprio i pazienti con melanomi più severi abbiano continuato a ritardare lo screening cutaneo a causa della pandemia sottovalutando la gravità del problema”.

Il ritardo diagnostico ha riguardato prevalentemente soggetti di sesso maschile con più di 50 anni, avvertono i ricercatori. “Sebbene sia prematuro prevedere le conseguenze cliniche di tale ritardo diagnostico, è auspicabile che la pandemia da Covid-19 non sia causa di ulteriori  proroghe degli screening di prevenzione delle altre patologie”.

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