Le App più usate rivelano la personalità

App smartphone
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“Dimmi che App usi più spesso e ti dirò chi sei”. Se un tempo erano soprattutto le letture e le scelte degli spettacoli a definire il profilo psicologico di una persona, oggi probabilmente monitorare le applicazioni per smartphone maggiormente impiegate può essere un’efficace arma per profilare uomini e donne.

E con una significativa approssimazione, tanto da consentire l’identificazione di una tipologia soggettiva in almeno un caso su tre di utenti anonimi, solo valutando appunto le applicazioni per smartphone maggiormente consultate. Conseguenze? Attenzione alla privacy, e non solo perché cediamo informazioni più o meno importanti attraverso il nostro agire sugli schermi, ma anche perché algoritmi specifici potrebbero arrivare a fare un nostro affidabile “ritratto” virtuale anche semplicemente analizzando le applicazioni su cui smanettiamo più di frequente.

A rivelare come il tempo passato su specifiche App possa diventare una sorta di traduzione in era tecnologica delle vecchie teorie lombrosiane, ovviamente partendo dalle informazioni raccolte dal dispositivo e non delle caratteristiche di chi lo impiega, è un’originale ricerca apparsa su Psychological Science, condotta da un team misto dell’Università Lancaster e dell’Università di Bath.

In pratica gli studiosi, come in una sorta di “puzzle” della psiche, hanno voluto provare a ricostruire le caratteristiche psicologiche e comportamentali delle persone partendo proprio da una valutazione delle App disponibili sul telefonino. Sono state prese in esame 780 persone per poi provvedere, attraverso un modello statistico, ad inserire migliaia di giorni possibili di utilizzo delle diverse applicazioni associandole poi agli utenti selezionati, tanto da far sì che gli stessi modelli statistici siano diventati capaci di riprodurre i modelli degli stessi utenti sull’uso delle varie applicazioni.

Risultato: in poco meno di una settimana di analisi, i modelli costruiti sulle preferenze d’impiego delle App sono riuscite ad identificare l’utente giusto, e quindi la persona del tutto anonima per altri aspetti, in oltre il 30% dei casi.

Insomma: inseguendo il percorso delle dita che corrono sullo schermo dello smartphone e delle scelte in termini di applicazioni, si può davvero ricostruire il profilo di molti individui tanto da far sottolineare ad uno degli autori, Paul Taylor dell’Università Lancaster, come l’analisi dell’impiego delle App possa diventare uno strumento nel corso di indagini, per identificare eventuali soggetti da monitorare con maggior attenzione.

Ma non basta. Non bisogna mai dimenticare l’attenzione alla privacy, che tanto invochiamo ma che poi, proprio attraverso le maglie degli incroci previsti dagli algoritmi in rete, rischia di diventare una semplice utopia in cui ci culliamo.

La semplice registrazione delle attività standard di uno smartphone potrebbe rappresentare un passaggio attraverso cui “cediamo” qualche informazione, anche senza necessariamente interagire con il sistema ma semplicemente scegliendo più o meno compulsivamente e frequentemente specifiche App. Lo facciamo tutti: sulla lunga fila di icone che scorriamo tendiamo a scegliere sempre le medesime, per navigare sui social, per monitorare l’attività fisica o magari per organizzare un viaggio, cenare in un ristorante o fissare un servizio.

Anche in questo modo offriamo comunque un profilo e il sistema di monitoraggio delle attività dello smartphone può registrare tutto. Con le nostre scelte, anche senza interagire, descriviamo qualcosa di noi e lo cediamo. Non dimentichiamolo.

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