Terapia genica batte distrofia retinica, una bella storia da Roma

Stanislao Rizzo e Giancarlo Iarossi
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Hanno solo 8 e 3 anni i due bambini protagonisti della storia di ricerca e buona sanità che arriva oggi da Roma. Sono un bimbo e una bimba arrivati qualche anno fa in Italia dal Senegal con i genitori. I piccoli, che vivono con mamma e papà in Sardegna, sono affetti dalla stessa forma di distrofia retinica ereditaria. Oggi hanno riacquistato importanti capacità visive in seguito al trattamento con terapia genica.

Il primo a ricevere la terapia è stato il maschietto, è in cura presso l’unità di Oculistica del Bambino Gesù da quando aveva 3 anni. Oggi entrambi distinguono meglio i dettagli e riescono a muoversi con fiducia negli ambienti poco illuminati, senza timore di inciampare negli oggetti.

Gli interventi sono stati eseguiti in collaborazione dalle unità di Oculistica della Fondazione Policlinico Gemelli Irccs e dell’Ospedale Bambino Gesù, all’interno di un progetto avviato nel 2021 per la gestione comune di pazienti pediatrici e adulti affetti da degenerazioni retiniche ereditarie. La sorellina che ha riacquistato la vista è la più giovane paziente in Italia ad aver ricevuto questo trattamento.

La malattia e la terapia genica  

Nel 2021 l’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) ha autorizzato la terapia genica voretigene neparvovec (Luxturna*) sviluppata da Novartis per il trattamento in pazienti adulti e pediatrici della distrofia ereditaria della retina. Si tratta di quelle forme rare, causate da mutazione di entrambe le copie (biallelica) del gene RPE65, responsabile della produzione di una proteina chiave nel processo di conversione della luce in segnale elettrico nella retina.

La più nota tra le distrofie retiniche a trasmissione ereditaria è la retinite pigmentosa da cui erano affetti nella forma più precoce – l’amaurosi congenita di Leber – i due fratellini del Senegal. La retinite pigmentosa può essere causata dalla mutazione di circa 100 geni implicati nei meccanismi della visione.

Uno di questi geni è l’RPE65, le cui mutazioni sulle due copie del gene sono molto rare e interessano circa 1 persona su 200 mila nel mondo. Si stima che in Italia i soggetti coinvolti siano tra 100 e 120. I pazienti hanno problemi di scarsa visione notturna, di restringimento del campo visivo e possono manifestare una grave e progressiva riduzione della capacità visiva fino alla cecità. Si tratta di una malattia progressiva, responsabile di grave invalidità, sia sul piano della formazione scolastica che dell’inserimento nel mondo del lavoro.

La terapia consiste in una singola iniezione – “one shot” – nello spazio sottoretinico di entrambi gli occhi di una copia funzionante del gene RPE65. Il gene sano è trasportato all’interno delle cellule da un adenovirus, con patrimonio genetico modificato, che agisce come vettore. Una volta nelle cellule, la copia funzionante del gene è in grado di ripristinare la capacità visiva del paziente in modo significativo e duraturo.

I parametri per accedere al trattamento

Non tutti possono accedere a questa terapia. Sono infatti stati stabiliti dei parametri specifici. E’ di fondamentale importanza la corretta caratterizzazione clinica della distrofia retinica e l’identificazione della mutazione del gene RPE65 attraverso un test genetico, per arrivare ad una corretta diagnosi, valutare lo stato di progressione della malattia e impostare la corretta strategia terapeutica.

Il progetto

L’accordo quadro tra l’unità di Oculistica della Fondazione PoliclinicoGemelli Irccs, diretta dal professor Stanislao Rizzo, e quella dell’Ospedale Bambino Gesù, diretta da Luca Buzzonetti, è mirato alla gestione dei pazienti pediatrici e adulti affetti da degenerazioni retiniche ereditarie.

Obiettivo, migliorare la qualità dell’assistenza sanitaria per questi pazienti, mettendo in comune risorse e capacità organizzative. Attraverso un percorso diagnostico effettuato con protocolli comuni, i pazienti vengono inclusi in registri specifici per le possibili strategie terapeutiche. L’approvazione della prima terapia genica per una specifica mutazione causa di distrofie retiniche ereditarie come l’amaurosi congenita di Leber e la retinite pigmentosa ad insorgenza precoce insieme alla selezione dell’unità di Oculistica del Policlinico Gemelli come uno dei centri italiani di riferimento per la procedura chirurgica correlata, hanno portato al trattamento dei primi due pazienti pediatrici affetti da questa patologia provenienti dal Bambino Gesù.

I due fratellini 

Sono un maschio e una femmina, hanno 8 e 3 anni e vivono in Sardegna con i genitori arrivati qualche anno fa in Italia dal Senegal per lavoro. Il primo a ricevere la terapia genica è stato il maschietto. La diagnosi di distrofia retinica, confermata dai test genetici, gli ha permesso di essere inserito nel registro dei pazienti eleggibili alla terapia genica subito dopo l’approvazione da parte dell’Aifa, quando aveva già 7 anni. La terapia è stata somministrata all’occhio destro nell’ottobre del 2021 e al sinistro a dicembre dello stesso anno.

Il percorso di follow-up post intervento, completato a febbraio del 2022, ha evidenziato un significativo miglioramento di tutti i parametri visivi soggettivi, cioè l’acuità visiva (capacità di discriminare un dettaglio spaziale), il campo visivo (capacità di vedere perifericamente) e la visione crepuscolare. Lo stesso vale per i parametri oggettivi attraverso test specifici quali un test che valuta la sensibilità dei coni e bastoncelli, la popolazione cellulare retinica che ci consente di vedere.

La sorellina, affetta dalla stessa malattia, è la paziente più giovane in Italia trattata con la terapia genica, avendo compiuto da poco tre anni. Il primo trattamento è avvenuto a febbraio del 2022 e il secondo a giugno. Anche per lei il follow-up completato nei giorni scorsi ha evidenziato un significativo recupero della vista.

Una terza giovanissima paziente del Bambino Gesù, di 7 anni, è al momento candidata al trattamento.

Le prospettive di questo approccio

 La terapia genica per la degenerazione retinica a trasmissione ereditaria rappresenta “la prima concreta cura per prevenire o correggere il decadimento completo della funzione visiva – sottolinea Giancarlo Iarossi, referente del percorso sulle distrofie retiniche all’interno dell’unità di Oculistica del Bambino Gesù – e riveste un ruolo fondamentale per future strategie terapeutiche. Altre forme di distrofie retiniche causate da diverse mutazioni geniche sono al momento oggetto di trial clinici in fase avanzata. L’auspicio degli operatori coinvolti è di continuare questo progetto volto ad applicare la terapia più appropriata secondo le attuali conoscenze sulle degenerazioni retiniche ai nostri pazienti comuni e di estenderla nell’immediato futuro ad altre mutazioni”.

“Operare pazienti in giovanissima età e ridare loro la vista è qualcosa che travalica la nostra vita professionale e si identifica appieno nella missione del Gemelli e del Bambino Gesù, curare persone affette da disabilità gravissime impiegando i risultati della ricerca clinica più avanzata – conclude Stanislao Rizzo, ordinario di Oculistica presso l’Università Cattolica e direttore della Uoc di Oculistica del Gemelli – La retinite pigmentosa è una malattia terribile, che porta nelle forme più severe a cecità e per cui non esisteva terapia efficace fino a poco tempo fa. Finalmente oggi, anche se solo in pochi pazienti, riusciamo a offrire un trattamento efficace, frutto di studi scientifici internazionali eseguiti in pochissimi centri nel mondo di ricerca e cura”.

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