Clima estremo, nel Dna un aiuto per gli animali d’allevamento

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Nella lunga estate del 2022 abbiamo fatto tutti i conti con le conseguenze del cambiamento climatico. Il caldo torrido ha impazzato un po’ ovunque, non solo in Italia, mettendo a dura prova persone, colture e animali. E, stando alle previsioni, le cose sono destinate a peggiorare. Con costi importanti per il settore dell’allevamento, in termini di produzione e non solo.

La buona notizia è che uno scudo contro gli effetti del caldo estremo per gli animali è celato nel loro Dna. Proprio la genomica, infatti, promette di salvare il bestiame, scovando i ‘geni di resilienza’ alla febbre che contagia l’intero pianeta.

L’idea è dei ricercatori dell’Università Cattolica, campus di Piacenza, a caccia di geni per rendere le razze di bovini e ovini italiane resistenti al cambiamento climatico, al caldo torrido e alla siccità. A rischio c’è la sopravvivenza stessa di molte razze locali, oltre allo spettro di ingenti perdite economiche per la filiera produttiva.

Presso la Facoltà di Scienze Agrarie, Alimentari e Forestali presieduta da Marco Trevisan, il Dipartimento di Scienze animali, della nutrizione e degli alimenti – DiANA, diretto da Francesco Masoero studia la genetica dell’adattamento.

I genetisti, coordinati da Paolo Ajmone Marsan, hanno di recente pubblicato sulla rivista Animals una review ad hoc. “La perdita di produzione dovuta al caldo dipende dalle condizioni ambientali, valutate dall’indice temperatura/umidità – spiega  Ajmone Marsan. Dipende dalla razza e dal management degli allevamenti, ma diversi lavori che si riferiscono quasi sempre alla Frisona emergono stime preoccupanti dell’ordine di milioni di euro per costi diretti (perdita di produzione) e indiretti (costo degli interventi veterinari, dei foraggi, etc)”.

Come spiega Trevisan  un lavoro pubblicato quest’anno su Lancet Planetary Health stima la perdita di produzione globale da stress da caldo in qualcosa come circa 40 miliardi di dollari l’anno entro fine secolo (da un minimo di 34 a un massimo di 45), pari a circa il 10% del valore di carni e latte del 2005.

“Lo stress da caldo è deleterio per tutte le specie animali – precisa il genetista Riccardo Negrini – ma lo è particolarmente per i ruminanti e le bovine da latte ad alta produzione, come anche le nostre razze. Nel rumine le fermentazioni microbiche permettono la trasformazione della cellulosa, non digeribile per l’uomo e gli animali monogastrici, in energia utile per l’animale e quindi in prodotti animali utili per l’uomo, ma questa trasformazione produce calore”.

“Purtroppo le proiezioni indicano che nel nostro Paese il clima estivo sarà sempre più secco e caldo. Questo – precisa Negrini –  aumenterà lo stress negli animali, nonostante ombreggiamento, ventilazione e aspersione di acqua ed eventuale condizionamento”.

Potere della genomica

Ecco che interviene la genomica. Da alcuni anni i programmi di miglioramento genetico nazionali hanno cambiato gli obiettivi di selezione delle specie zootecniche, favorendo animali più robusti e funzionali, e non solo molto produttivi. La selezione tradizionale produce ottimi risultati ma in tempi lunghi, almeno 5 anni.

La genomica, cioè lo studio dettagliato del Dna degli animali, ha quasi triplicato la velocità della selezione. Inoltre ha permesso di identificare e utilizzare nella selezione le varianti migliori di geni coinvolti nei caratteri sotto selezione, rendendo quest’ultima sempre più efficace.

Attraverso la genomica sono state già individuate alcune varianti genetiche (mutazione) che aiutano gli animali che ne sono portatori nel proprio Dna ad adattarsi meglio a climi ostili. Ad esempio, in alcune razze bovine locali dei Caraibi (Senepol, Limoneiro e Carora) è stata scoperta la mutazione “slick”, che determina accorciamento del pelo e una serie di cambiamenti fisiologici che rendono gli animali estremamente resistenti allo stress da caldo. La mutazione è stata introdotta nella razza Frisona in Florida e ha dimostrato di essere efficace anche in questa razza, importantissima per la produzione di latte.

Un obiettivo, dunque, potrebbe essere di inserire il gene negli allevamenti italiani ed utilizzarlo nei programmi di selezione.

“Stiamo studiando le basi genetiche dell’adattamento nell’ambito di progetti nazionali ed internazionali – spiega la genetista Licia Colli – In particolare coordiniamo un progetto (www.scala-medi.eu) finanziato dalla Commissione Europea nell’ambito del programma Prima di Horizon 2020 che studia la genetica dell’adattamento in ovini e avicoli Nord Africani. Nel progetto sono coinvolti cinque Paesi: Italia, Francia, Tunisia, Algeria e Marocco, 18 partner e più di cento ricercatori”.

Obiettivo: lo studio e la valorizzazione della capacità di adattamento delle razze locali nordafricane a climi estremi, in particolare molto caldi e secchi, come quelli sahariani. “La comprensione dei meccanismi genetici ed epigenetici di adattamento al clima è importante per pianificare programmi di miglioramento genetico e genomico che aumentino l’efficienza delle produzioni delle razze locali, senza comprometterne le caratteristiche adattative”, dice la studiosa.

“La genomica permette oggi di aumentare l’efficienza delle razze locali, aumentandone la sostenibilità e al contempo studiarne il Dna per identificare geni per l’adattamento utili per le razze industriali”, conclude Ajmone Marsan.

La genomica è uno strumento potente e faciliterà la selezione di animali più resistenti ai cambiamenti climatici, conclude Erminio Trevisi, fisiologo animale. Ma è solo uno dei fattori in grado di garantire il benessere animale in caso di climi estremi, sottolinea, e deve agire in sinergia con strutture aziendale, management dell’allevamento e alimentazione di precisione.

La buona notizia è che gli animali in produzione sono sempre più monitorati da vicino da telecamere, sensori e sistemi di analisi dati intelligenti che avvertono gli allevatori non appena gli animali manifestano i primi segni di stress, permettendo un intervento immediato.

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