All’origine dell’uomo, Nobel per la Medicina a Svante Pääbo

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All’origine dell’evoluzione umana. Il premio Nobel per la Medicina anche quest’anno stupisce: in barba a Covid-19 e alla tecnologia a mRna, il riconoscimento – pari a 10 milioni di corone svedesi (circa 917mila euro) – è stato assegnato allo svedese Svante Pääbo “per le sue scoperte riguardanti i genomi degli ominidi estinti e l’evoluzione umana”. In pratica, il premio è andato al ‘papà della paleogenomica’.

ominidi

L’annuncio è stato dato al Karolinska Institutet di Stoccolma in Svezia, e trasmesso in diretta via Internet e social network.

La ricerca

L’umanità è sempre stata affascinata dalle sue origini. Da dove veniamo e come siamo legati a coloro che sono venuti prima di noi? Cosa ci rende, come Homo sapiens, diversi dagli altri ominidi?

Attraverso quella che è stato decisamente un approccio pionieristico, Svante Pääbo ha realizzato qualcosa di apparentemente impossibile: sequenziare il genoma del Neanderthal, un antico parente estinto degli esseri umani di oggi. Lo scienziato ha anche scoperto un ominide precedentemente sconosciuto, l’Homo di Denisova. Non solo: Pääbo ha scoperto che il trasferimento genico da questi ominidi all’Homo sapiens era avvenuto in seguito alla migrazione dall’Africa circa 70.000 anni fa. Questo antico flusso di geni ha la sua rilevanza fisiologica ancora oggi, ad esempio influenzando il modo in cui il nostro sistema immunitario reagisce alle infezioni (come quella da Sars-Cov-2).

La ricercadi Pääbo ha dato origine a una disciplina scientifica completamente nuova: la paleogenomica. Rivelando le differenze genetiche che distinguono tutti gli esseri umani viventi dagli ominidi, le sue scoperte forniscono la base per esplorare ciò che davvero ci rende umani.

L’analisi del genetista 

“Un Nobel bellissimo” dice a Fortune Italia il genetista dell’Università di Roma Tor Vergata Giuseppe Novelli, che ha collaborato in passato con il gruppo di Pääbo. “Noi a Tor Vergata abbiamo un laboratorio di Dna antico e Pääbo ha condiviso con noi metodi e protocolli”, ricorda. “Nel 1984 con le sue ricerche ha aperto alla possibilità di studiare il Dna antico dai fossili, iniziando con una mummia egizia, fino a spingersi sempre più indietro, sequenziando tutto il Dna dell’Homo di Neanderthal. Questo ci ha consentito di studiare le differenze evolutive, aprendo la strada a ricerche del tutto nuove. E non si è fermato. Proprio una settimana fa – dice Novelli – Pääbo ha pubblicato una ricerca su un gene implicato nella formazione della corteccia frontale, fondamentale per l’uomo moderno”.

Studi che hanno importanti conseguenze anche per noi. “Lui stesso di recente ha scritto che c’è un pezzo del cromosoma 3 umano associato a una maggior gravità dell’infezione da Sars-Cov-2, presente nell’Homo di Neanderthal e in una percentuale importante degli asiatici moderni, ma meno comune negli europei”.

Insomma, “lo studio dei geni conservati nel corso dei secoli ha importanti conseguenze anche per noi. Non è un caso che ogni anno ci sia la genetica dietro al Premio Nobel”, riflette il genetista. Ma gli studi premiati a Stoccolma sono importanti anche per gli investigatori alle prese con vecchi casi irrisolti. “La ricerca di Pääbo ha aperto la strada agli studi forensi sui cold case: i metodi per evitare la contaminazione li ha messi a punto lui: quando troviamo un osso sotto terra, li applichiamo”, afferma Novelli.

Da dove veniamo?

La questione ha coinvolto l’umanità fin dai tempi antichi. La paleontologia e l’archeologia sono importanti per gli studi sull’evoluzione umana. La ricerca ha rivelato che l’Homo sapiens è apparso per la prima volta in Africa circa 300.000 anni fa, mentre i nostri parenti più stretti, i Neanderthal, si sono sviluppati al di fuori dell’Africa e hanno popolato l’Europa e l’Asia occidentale da circa 400.000 anni fino a 30.000 anni fa, quando si estinsero.

Circa 70.000 anni fa, gruppi di Homo sapiens migrarono dall’Africa fin nel Medio Oriente e, da lì, si diffusero nel resto del mondo. Homo sapiens e Neanderthal hanno quindi convissuto in gran parte dell’Eurasia per decine di migliaia di anni. Ma cosa sappiamo della nostra relazione con gli estinti Neanderthal? Gli indizi potrebbero essere derivati ​​da informazioni genomiche. Alla fine degli anni ’90, quasi l’intero genoma umano era stato sequenziato. Un risultato che ha permesso successivi studi sulla relazione genetica tra diverse popolazioni. Ma per andare indietro nel corso dell’evoluzione occorrevano campioni arcaici.

Gli inizi della ricerca di una vita

All’inizio della sua carriera, Svante Pääbo rimase affascinato dalla possibilità di utilizzare metodi genetici moderni per studiare il Dna dei Neanderthal. Una bella sfida: Pääbo ha iniziato a sviluppare metodi per studiare il Dna dei Neanderthal, un’impresa durata diversi decenni.

Nel 1990, lo scienziato venne assunto dall’Università di Monaco, dove ha continuato il suo lavoro sul Dna  arcaico. Dall’analisi del Dna mitocondriale è riuscito a sequenziare una regione di Dna mitocondriale da un frammento osseo di 40.000 anni. Così, per la prima volta, abbiamo avuto accesso a una sequenza di un nostro ‘cugino’ ormai estinto.

Poiché le analisi del genoma mitocondriale fornivano solo informazioni limitate, Pääbo decise di affrontare l’enorme sfida di sequenziare il genoma nucleare di Neanderthal. Passato al Max Planck Institute a Lipsia, in Germania, lo studioso ha messo in piedi un team coinvolgendo diversi centri e arrivando alla prima sequenza del genoma di Neanderthal, nel 2010. Analisi comparative hanno dimostrato che il più recente antenato comune di Neanderthal e Homo sapiens visse circa 800.000 anni fa.

Un’altra scoperta clamorosa: Denisova

Nel 2008, nella grotta di Denisova, nella parte meridionale della Siberia, è stato scoperto un frammento di un osso di un dito di 40.000 anni fa. L’osso conteneva Dna eccezionalmente ben conservato, che il team di Pääbo ha sequenziato. I risultati hanno fatto scalpore: la sequenza del Dna era unica rispetto a tutte le sequenze conosciute dei Neanderthal e degli esseri umani di oggi. Pääbo aveva scoperto un ominide precedentemente sconosciuto, a cui è stato dato il nome Denisova.

All’epoca in cui l’Homo sapiens migrò fuori dall’Africa, almeno due popolazioni di ominidi estinte abitavano l’Eurasia. I Neanderthal vivevano nell’Eurasia occidentale, mentre i Denisoviani popolavano le parti orientali del continente. Durante l’espansione dell’Homo sapiens al di fuori dell’Africa e la sua migrazione verso est, non solo è incrociato con i Neanderthal, ma anche con i Denisoviani. Come testimonia il confronto con il nostro Dna.

Qualche curiosità sul premio per la Medicina

Tra il 1901 e il 2022 sono stati assegnati 113 premi Nobel per la Fisiologia o la Medicina. Finora 12 donne sono state ‘laureate’, mentre l’età dei ‘campioni’ oscilla dai 32 anni di Frederick G. Banting, che nel 1923 ricevette il premio di medicina per la scoperta dell’insulina, e gli 87 anni di Peyton Rous, che nel 1966 fu premiato per la sua scoperta di virus che inducono il tumore.

Quando il Nobel è una questione di famiglia

Talvolta il Nobel ‘scorre’ nelle famiglie: anche il padre di Pääbo, Sune Bergström, fu premiato esattamente 40 anni fa. Lo racconta la Max Planck Society. Nel 1982 Bergström condivise il riconoscimento con Bengt Ingemar Samuelsson e Sir John Robert Vane, per gli studi pionieristici sulle prostaglandine

Un caso non isolato. Infatti fra le coppie spostate abbiamo Gerty Cori e Carl Cori (1947) e May-Britt Moser e Edvard I. Moser (2014). Poi c’è un altro caso di padre e figlio: Arthur Kornberg (padre), Premio Nobel per la fisiologia o la medicina 1959 e  Roger D. Kornberg (figlio), Premio Nobel per la chimica 2006, e uno in cui il riconoscimento è andato a due fratelli: Jan Tinbergen (premio per le scienze economiche) e Nikolaas Tinbergen (premio per la medicina).

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