Empatia, ecco come evapora lungo la catena di comando

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Empatia vo’ cercando. In questo periodo di conflitti e di difficoltà economiche che si ripercuotono pesantemente sul benessere delle persone, non è facile riflettere sulle responsabilità delle catene di comando che magari, non solo in guerra, si trovano ad imporre misure pesanti sul resto dell’organizzazione.

Ma cosa prova il soldato in prima linea? E cosa vivono, più in piccolo, i quadri di un’azienda che ricevono il comando di un’azione non proprio ‘positiva’ sul fronte lavorativo? Viene da chiedersi quanto e come i vertici, siano essi militareschi o più semplicemente aziendali, riescano a percepire il peso di eventuali azioni non proprio positive. Ma soprattutto c’è un altro aspetto da approfondire sotto l’aspetto psicologico: la condivisione di scelte negative da parte dei ruoli apicali con le gerarchie immediatamente inferiori migliora il benessere di chi dà gli ordini nella logica del “mal comune mezzo gaudio”?

Ebbene, stando a quanto riporta un’originale ricerca pubblicata su ENeuro, condotta dagli esperti del Social Brain Lab dell’Istituto Olandese di Neuroscienze, che tenta di rispondere a queste domande, il flusso di ordini e i passaggi rischiano di far sentire meno responsabili i protagonisti della catena di comando e di far perdere empatia. In questo senso, la struttura gerarchica diventa un sistema per arrivare a limitare l’empatia personale, creando una sorta di divisione di responsabilità che tende a rendere più leggero l’animo e la psiche di chi ordina o esegue una determinata mansione.

Il motivo? Il vertice decide ma è comunque lontano dai risultati della sua scelta, che vengono “gestiti” dal diretto riporto. Questi, d’altro canto, diventa lo sperimentatore della paternità dell’azione, ma senza sentire il peso di quanto sta facendo, nella logica dell’obbedienza. Alla fine, in questo percorso, sono la coscienza e l’empatia a soffrirne. A tutti i livelli.

E lo studio dei processi cognitivi lo conferma pienamente, visto che chi ha un ruolo apicale tanto quanto il proprio sottoposto mostra comunque una ridotta attivazione nelle aree cerebrali che si “accendono” in caso di empatia nel momento in cui partecipano ad un’attività che può creare dolore ad un’altra persona.

Ovviamente, il percorso di deresponsabilizzazione si può ulteriormente diluire quando la catena di comando è particolarmente lunga, come può avvenire in grandi organizzazioni. Ma la sostanza non cambia. Poter condividere la responsabilità di qualcosa che non si ritiene buono (o almeno avere la percezione di questa minor responsabilizzazione personale) aiuta ad accettare cose che magari non faremmo se fossimo soli. In pratica, i processi decisionali aiutano a smorzare la reazione empatica nel momento in cui si induce qualcosa di negativo sugli altri.

Per arrivare a questa conclusione, gli studiosi hanno sottoposto una popolazione di soggetti che in qualche modo causavano dolore ad altri, direttamente o meno, a risonanza magnetica funzionale ed elettroencefalogramma. Con il primo test si riescono a percepire le aree di cervello che più hanno bisogno di ossigeno, che quindi diventa maggiormente “visibili”. Con il secondo, si monitora l’attività elettrica delle diverse zone del sistema nervoso centrale.

Valutando sia chi dirama gli ordini negativi che chi li esegue, gli studiosi hanno visto che trovarsi implicati in una catena che produce dolore in un’altra persona porta comunque ad una limitata reazione nelle aree destinate all’empatia. Il tutto, sia che l’ordine negativo venga eseguito da un essere umano sia che a realizzarlo sia un robot.

Ma attenzione: se entra in gioco il robot, la percezione del fatto che si sta creando dolore appare maggiore. Ovvero, se c’è un “filtro” non umano, la condivisione della responsabilità è minore e quindi si soffre di più per quanto di percepito come sbagliato si sta facendo.

Lo studio, insomma, ci racconta cosa provano le persone che operano in una catena gerarchica. E mostra come sia importante il coinvolgimento emotivo di tutta l’organizzazione, soprattutto in scelte non propriamente positive per le persone. L’empatia però deve partire dall’alto, permeando l’organizzazione fin dai suoi vertici. E magari, per rendere meno “freddo” chi deve dare ordini sgradevoli, evitare il passaggio attraverso una catena operativa può mettere meglio di fronte a responsabilità e dare una sferzata positiva.

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