Sostenibilità: tra il dire e il fare c’è di mezzo il greenwashing

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Se è vero che la più grande minaccia al pianeta sia la convinzione che lo salverà qualcun altro, il mondo (e il nostro Paese) dovrebbe capovolgere il mito e trasformarsi in Atlante. Per reggere il peso di una parola che negli ultimi anni abbiamo imparato a utilizzare molto e ad applicare meno: sostenibilità.

Mentre in Italia si fanno largo i commenti a metà tra il sarcasmo e il timore sul nuovo ministro dell’Agricoltura e della ‘Sovranità Alimentare’ (come ha affermato Roberto Vecchioni, “sovranità non è sovranismo”), e ovunque ieri si è celebrato il ‘World Pasta Day’, arrivano i dati del ‘Consumers Are the Key to Taking Green Mainstream’: il report di Boston Consulting Group basato sulle interviste a 19mila consumatori in tema di sostenibilità (anche alimentare) in 8 Paesi incluso il nostro.

Il risultato?  Sebbene la maggior parte delle persone appaia preoccupata per il cambiamento climatico, la spesa dei consumatori del ventunesimo secolo “è ancora poco sostenibile”.

Non c’è – contrariamente a come potremmo pensare dando una rapida occhiata alle pubblicità su cartelloni e riviste – una particolare propensione all’acquisto green. L’87% dei consumatori tiene conto della sostenibilità nelle scelte quotidiane – percentuale più alta fra le economie avanzate – anche perché la sensibilizzazione su certe tematiche nel tempo è cresciuta. Ma solo una quota compresa fra l’1% e l’11% degli intervistati dichiara di pagare di più per comprare prodotti e servizi verdi.

“C’è sicuramente una differenza tra intenzioni e comportamenti di acquisto”, ha spiegato Antonio Faraldi, Managing Director e Partner di Bcg a Fortune Italia. “In larga parte questa differenza è legata alla confusione di cui sono vittime molti consumatori, a cui non è chiaro che ruolo possano o debbano giocare nella lotta al cambiamento climatico. Ma ci sono anche due temi legati alle percezioni. Da un lato, un numero significativo di consumatori si dichiara disilluso nei confronti delle aziende. Credono che l’impegno pro-ambiente non sia genuino e profondo, ma unicamente finalizzato a sostenere vendite e brand. Dall’altro, tanti sono convinti che il premio di prezzo per accedere a prodotti sostenibili sia enorme, molto maggiore di quanto in realtà non sia“.

Non c’entra l’inconsapevolezza. Di sostenibilità si parla e “si sa”. La discrepanza tra parole e fatti è figlia di confusione, sfiducia e impressioni errate. E ad alimentare tali impressioni – secondo oltre il 70% degli italiani – sono proprio le aziende: che si impegnano soltanto per migliorare la propria immagine e le vendite. Lasciando che il divario tra ciò che si vorrebbe (dovrebbe) fare e la concretezza resti ampio.

Il problema è che il consumatore è un ‘influencer verde’, ma i brand interpretano la forbice tra ‘dire e fare’ come se nessuno fosse sul serio disposto a tradurre i nobili ideali sulla sostenibilità in azioni e scelte concrete. C’è di mezzo il greenwashing, con tutti i tentativi da parte di aziende o brand di mostrarsi pubblicamente più attenti e sensibili di quanto lo siano effettivamente.

“E’ un problema reale e di portata epocale”, ha affermato Faraldi. “Il greenwashing esiste in due versioni: una più soft e quasi involontaria, con persone o aziende che passano all’azione, ma potrebbero fare molto di più. E un’altra totalmente deleteria: il dolo di chi cavalca l’onda per trarne vantaggi, guardandosi bene dal portare a cambiamenti effettivi”.

L’adozione di comportamenti d’acquisto sostenibili, in ogni caso, non è omogenea e cambia a seconda delle merci e dei mercati. In Giappone i consumatori sono più attenti al packaging dei prodotti. In Brasile l’attenzione è rivolta a pc e tablet. In Italia la percentuale di chi paga un ‘premio verde’ e di chi adotta comportamenti sostenibili è più alta nel settore dei prodotti per la casa, dei fornitori di energia e della ristorazione. Mentre risulta bassa nell’ambito del trasporto privato, dei viaggi di lavoro e dei generi alimentari al dettaglio.

“Questo non deve sorprendere. Nell’ambito dei prodotti per la casa, circa il 60% dei consumatori a livello globale sta già adottando comportamenti sostenibili come il riciclo o il riutilizzo delle confezioni. Mentre nel campo della mobilità, solo il 39% degli intervistati si impegna nella riduzione delle emissioni limitando l’utilizzo di veicoli privati, comprando auto più piccole o efficienti”, ha sottolineato Faraldi.

Per incoraggiare scelte di acquisto responsabili, secondo Bcg i manager dovrebbero allineare l’offerta verde alle preferenze dei vari mercati, eliminando le barriere percepite dai clienti. Faraldi sostiene che sia necessario innanzitutto “sfatare falsi miti”. Come quello dei costi maggiori rispetto a prodotti più impattanti sull’ambiente.

Antonio Faraldi, Boston Consulting Group

“In molti comparti”, dice “il premio di prezzo dei prodotti sostenibili è inferiore a quanto si aspettano i consumatori. Bisogna poi evitare di svilire il concetto, facendone un uso binario: prodotti sostenibili e prodotti che non lo sono. A tendere, tutta l’offerta sarà più sostenibile di oggi, grazie alla ricerca sui materiali, all’attenzione in fase di sourcing delle materie prime. Agli impegni delle aziende per ridurre il proprio carbon footprint. Oggi siamo in una fase in cui spesso ‘più sostenibile’ vuole dire ‘prodotto più caro’. Ma non sempre anche migliore o necessariamente più buono. Un domani sarà sempre meno così. E si genererà un circolo virtuoso”.

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