Stregati dal cattivo, ecco perchè

Maleficent
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Diciamolo. A volte, forse, più che di bravi ragazzi sempre col sorriso e pronti ad aiutarci abbiamo bisogno di “maledetti” da redimere, per andare a trovare quel lato positivo che deve esserci, in fondo alla loro anima. Anche sul lavoro, così come nei rapporti di coppia.

Non ci sono dubbi che a volte tendiamo a preferire il cattivo di turno, magari assetato di potere ed avido di denaro, piuttosto che chi si mostra buono. A spiegare come e perché si possa essere attratti dal lato oscuro delle persone, sia da grandi che in età infantile, è un’originale ricerca coordinata da Valerie Umscheid, dell’Università del Michigan, apparsa su Cognition.

A guidarci in questo percorso di scelta apparentemente inspiegabile, tanto da far ricordare la sindrome di Stoccolma, è la convinzione che l’abito non faccia il monaco. O, se preferite, l’idea che esista una profonda differenza tra il modo di comportarsi del “cattivo” rispetto alla sua realtà psicologica più intrinseca e celata.

Questa sensazione ci porta da un lato a pensare che ci sia bisogno di “liberare” la componente positiva all’interno di un animo apparentemente cupo e distaccato, dall’altro a sminuire la possibile “bontà” assoluta degli eroi positivi, che magari nascondono qualche aspetto controverso ma lo mascherano con successo dietro ad una facciata sempre per bene.

Lo studio pubblicato su Cognition esplora questa solo apparente discrepanza nei bambini e negli adulti con tre analisi specifiche su piccoli tra i 4 e i 12 anni e grandi: l’obiettivo, sfruttando il film, è stato quello di analizzare i loro giudizi nei confronti di eroi negativi ed ovviamente positivi.

Cosa emerge dalle diverse visioni raccolta osservando personaggi delle pellicole Disney “La Sirenetta” e “Toy Story”? In primo luogo la capacità dei bambini di capire perfettamente chi è il cattivo e come si comporta, con un giudizio netto in termini negativi. Ma non basta.

Attraverso altre indagini si sono studiate le convinzioni di bambini e adulti riguardo al carattere morale e al vero sé di eroi e cattivi, in una sorta di esplorazione dell’animo del personaggio anche quando questo faceva atti non propriamente buoni e gentili, ma chiaramente connotanti la sua realtà di antagonista negativo.

Ebbene, pur se bimbi e adulti vedevano chiaramente gli aspetti caratteriali del “cattivo”, erano portati più facilmente a pensare che in fondo anche il protagonista negativo doveva più facilmente avere un animo buono (e magari incompreso) rispetto all’eroe. Insomma: in chiave psicologica nella vita, e magari anche sul lavoro, siamo portati dal nostro animo di soccorritori, ad auspicare caratteristiche positive che non sempre poi sono davvero presenti.

Questo ci può portare a profonde disillusioni, anche in ambito lavorativo oltre che sentimentale. Ma non possiamo probabilmente farci nulla. La ricerca del fondo buono in una persona che si ammanta di malvagità dimostrata dagli atti quotidiani può diventare una sorta di guida per atteggiamenti che a volte appaiono inspiegabili.

Per completezza di informazione, va detto che la ricerca apparsa su Cognition non è originale nelle sue conclusioni, a riprova del fatto che la ricerca dell’animo buono in chi si muove in modo non certo edificante nei confronti degli altri fa quasi parte dell’essere di molti di noi. E non pensate che si tratti di una caratteristica negativa. Un’altra ricerca ci dice che il rischio di immedesimarci nei “cattivi” dei film, da Voldemort fino a Dart Vader e a Malefica della Bella Addormentata nel bosco, sarebbe in realtà auspicabile come una specie di “attrazione fatale” verso il male che si verifica anche se, nella vita reale, aborriamo filosofia di vita e atteggiamenti dei personaggi negativi.

Questo approccio farebbe parte di un meccanismo di autodifesa involontaria che ci consente di creare una rete cognitiva in grado di identificarci con i malvagi e di sfogare il nostro stress psicologico ma senza “macchiare” la nostra immagine. Se non ci credete andate a rileggervi lo studio degli esperti dell’Università Nortwestern apparso su Psychological Science.

Ultimo aspetto: nel lavoro pubblicato su Cognition gli esperti segnalano chiaramente come nella scelta del personaggio “buono” occorra pensare anche al confronto con gli altri personaggi della vicenda. E fanno un esempio, quello di Walter White, il mite professore che scopre una malattia e si trasforma in produttore di droghe sintetiche per garantire un futuro alla sua famiglia. Anche se certo non è un personaggio positivo, lo diventa in confronto a molti dei protagonisti della serie.

A volte, quindi, a guidarci può essere anche la percezione che il cattivo non sia poi davvero tale. E che le vicende della vita lo portino ad apparire malvagio, quando invece l’animo è sostanzialmente buono.

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