Obesità, pharma e il caso del farmaco introvabile

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I soliti ‘bene informati’ avevano dato subito la loro interpretazione: l’Ozempic* (semaglutide) è scomparso dalle farmacie non solo e non tanto per le prescrizioni off label estorte dalle persone in sovrappeso/obese al loro medico, quanto piuttosto per una banale legge di mercato: le scorte di farmaco vanno dove il suo prezzo è più alto, tipicamente negli Stati Uniti.

Perchè davvero va a ruba

Ma a ben vedere questa ipotesi ‘complottista’ non regge, visto che la Fda (Food and Drug Administration) aveva già lanciato l’allarme ‘carenza’ in epoca non sospetta, addirittura lo scorso agosto, ben prima dunque dello show di Elon Musk sui social, che aveva sdoganato l’outing di tutto il firmamento minore di Hollywood sull’argomento.

La verità è piuttosto che le vendite di questo farmaco, nato (e validissimo) per il diabete sono esplose nel momento in cui la gente ha cominciato a vederne gli effetti sulla bilancia. Perché i GLP-1 analoghi, la classe alla quale appartiene semaglutide (ma anche liraglutide che da noi è regolarmente approvato per il trattamento dell’obesità, seppure a carico del paziente che deve tirar fuori di tasca sua oltre 200 euro al mese), sui chili di troppo funzionano davvero.

Ed è la prima volta che i medici possono disporre di un farmaco, che insieme ai consigli sullo stile di vita (dieta e attività fisica), funziona sul serio. Altro che sguardi insinuanti, battutine sulla golosità del povero paziente dal giro vita debordante, suggellate dall’impietoso ‘è tutta questione di forza di volontà’. Perché c’è ancora chi non l’ha capito, e tra questi, anche medici di chiara fama. Dire ad una persona con obesità che per dimagrire basta la ‘forza di volontà’, equivale a dire a un poveretto con una frattura di femore ‘alzati e cammina’.

Come anche non hanno senso le inutili polemiche colpevolizzanti sul fatto che gli obesi sottraggano il farmaco ai diabetici, che ne avrebbero tanto bisogno. Come se ci fosse un’etica nell’assegnazione di una terapia, o una prelazione in base ad una classifica di pazienti di serie A e di serie B, determinata dalla patologia della quale si è affetti (è più etico trattare una persona con diabete o un obeso?) o del ‘sono arrivato prima io’.

Lo stigma

Un atteggiamento che riflette impietoso lo stigma serpiginoso che circonda le persone con obesità, quel ‘se la sono cercata’, quell’infamante ‘sono in questa condizione per colpa loro e della loro voracità insaziabile’. La verità, sancita e riconosciuta dalla comunità scientifica internazionale, è che l’obesità è una malattia cronica recidivante, oltre che un noto fattore di rischio per malattie cardio-metaboliche, cardio-vascolari e per almeno una decina di tumori. È insomma un problema biologico, non (solo) comportamentale e dunque ha tutto il ‘diritto’ di essere trattata. Con la dieta, i farmaci, l’endoscopia e la chirurgia bariatrica, a seconda dei casi. Sollevando, senza se e senza ma, il paziente dall’insostenibile peso di paternali e reprimende.

Farmaci da ‘ricchi’?

Se istanze morali vanno sollevate, di fronte ad una coperta corta come quella del budget sanitario, è sulla questione del loro rimborso. Si tratta di farmaci costosi, da prendere virtualmente a vita. Negli Usa molte compagnie assicurative non li rimborsano; da noi sono a completo carico del paziente e alla fine dell’anno il loro ‘peso’ sul budget di una famiglia si fa sentire. Ma come noto, la prevalenza dell’obesità è particolarmente elevata tra le classi meno abbienti.

È giusto dunque privare questi cittadini di una chance di trattamento e lasciarli andare incontro alle conseguenze e alle complicanze dell’obesità, vittime colpevoli della loro scarsa ‘forza di volontà’?

Le aziende e la corsa dell’oro dei farmaci anti-obesità

Ma intanto Novo Nordisk, l’azienda produttrice di semaglutide, ha messo il turbo alla produzione del farmaco più ambito del momento (le sue azioni hanno guadagnato il 40% negli ultimi 6 mesi) che così, dopo 6 mesi di carenza, è di nuovo disponibile (sia l’Ozempic* per il diabete che il Wegovy* per l’obesità, stessa molecola ma a dosaggio più alto) nelle farmacie americane (dove costa circa 1.500 dollari al mese).

E l’effetto Wegovy, sta facendo da traino e battipista anche ad un altro campione in pectore contro diabete e obesità, il Mounjaro* di Lilly (tirzepatide, anch’esso a somministrazione sottocutanea una volta a settimana come Ozempic* e Wegovy*), già disponibile negli Usa ma non ancora da noi.

Come funzionano questi farmaci

Gli agonisti recettoriali del GLP-1 (questa la classe alla quale appartengono semaglutide, liraglutide) e i doppi agonisti del recettore del GLP-1 e del GIP (come tirzepatide), fanno dimagrire perché riducono l’appetito e la sensazione di fame, rallentando lo svuotamento dello stomaco e aumentando il senso di pienezza dopo i pasti. Un meccanismo vincente che è però anche il loro tallone d’Achille, perché in molti pazienti provocano un fastidioso senso di nausea.

Si disegnano i farmaci anti-obesità next-gen

Ma anche su questo la ricerca sta continuando a lavorare. La notizia è freschissima e viene dal convengo dell’American Chemical Society (ACS), in corso a Indianapolis (Usa). Studiando i cambiamenti che occorrono nella secrezione di alcuni ormoni del tratto digerente dopo un intervento di bypass gastrico, in particolare a livello del GLP-1 e del peptide YY (PYY), alcuni ricercatori americani hanno ‘disegnato’ un farmaco, il peptide GEP44, che agisce su entrambi i recettori intestinali di questi ormoni, attivando due recettori del PYY e il recettore del GPL-1.

Gli studi su modelli animali, hanno dimostrato una drastica riduzione dell’appetito, senza però provocare nausea e vomito, l’effetto collaterale più spiacevole (e spesso causa di abbandono del trattamento) dei farmaci attualmente a disposizione. Ma non è tutto.

Il GEP44 farebbe dimagrire non solo riducendo l’appetito, ma anche aumentando il dispendio energetico, facendo ‘bruciare’ cioè più calorie. Infine, alla sospensione di questo trattamento next-generation, gli animali non sembrano riacquistare peso. Molto interessante la sua azione anche sul metabolismo glucidico. Il GEP44 promuove l’ingresso di glucosio nei muscoli, dove viene utilizzato come ‘carburante’, riducendone la concentrazione nel sangue. A livello del pancreas promuove la produzione di insulina da parte di alcune cellule che vanno a rimpiazzare quelle danneggiate dal diabete. Infine, il nuovo peptide riduce il craving per gli oppioidi nei ratti e, se questo fosse dimostrato anche nell’uomo, potrebbe essere usato per combattere la dipendenza da eroina ed eventuali ricadute.

“Per molto tempo – afferma Robert Doyle della Syracuse University e della SUNY Upstate Medical University (Usa), capofila di questo progetto di ricerca insieme a Christian Roth del Seattle Children’s Research Institute (Usa) – abbiamo ritenuto che non si potesse separare la perdita di peso dalla nausea e vomito perché questo due effetti sono strettamente collegati nel cervello. Ma adesso siamo riusciti a separare queste due vie e questo potrebbe avere delle ricadute anche per i pazienti in trattamento chemioterapico”.

La ricerca presentata all’ACS è stata finanziata dai Programmi di Ricerca Medica del Dipartimento della Difesa statunitense, molto interessato all’argomento, perché tanti veterani hanno un diabete di tipo 2 correlato al peso. A breve partiranno gli studi con il GEP44 sui primati, per approdare poi a quelli sull’uomo.

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