Burnout, medici e infermieri tra stress e rischio di errori

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Stanchezza, esaurimento, demotivazione e – a un certo punto – distrazione. E’ una sorta di serpente che si morde la coda quello del burnout, un male che affligge il 52% dei medici e il 45% degli infermieri che prestano la loro opera nei reparti ospedalieri di medicina interna in Italia.

Depressi, stressati e in perenne carenza di sonno per orari di lavoro che vanno ben oltre il lecito, con carichi di lavoro impossibili da gestire. La “sindrome del burnout” minaccia la salute degli operatori sanitari, ma anche quella degli assistiti, visto che lavorare quando si è in burnout significa alzare di molto le possibilità di commettere un errore sanitario. Secondo le stime parliamo di circa 100mila episodi l’anno. 

Non è affatto rosea la survey condotta da Fadoi, la Federazione dei medici internisti ospedalieri, che ha messo sotto il microscopio un campione rappresentativo di oltre duemila professionisti sanitari.

Medici e infermieri sull’orlo di una crisi di nervi

A confessare di essere in “burnout” è il 49,6% del campione, per la precisione il 52% dei medici e il 45% degli infermieri. Naturalmente i più giovani resistono meglio: sotto i trent’anni la percentuale di chi è in burnout cala al 30,5%. Ma l’età media dei professionisti italiani è piuttosto alta, così Fadoi calcola che oltre 56mila medici e 125.500 infermieri lavorano in burnout. E per questo motivo incappano in qualche inevitabile errore.

Donne e carriera

Il problema è più del doppio tra le donne, dove permane la difficoltà di coniugare il tempo di lavoro con quello assorbito dai figli e dalla famiglia. Anche se poi c’è un inedito e positivo rovescio della medaglia, costituito dalla larga maggioranza di medici e infermieri ancora gratificati dal proprio lavoro e dal rapporto con i pazienti.

Stress ed errori

Uno studio condotto dalla Johns Hopkins University School of Medicine e dalla Mayo Clinic del Minnesota ha rilevato almeno un errore grave nel corso dell’anno nel 36% dei camici bianchi in burnout. Percentuale che proiettata sul totale dei nostri medici da un totale di oltre 20mila errori gravi.

Discorso analogo per gli infermieri. Una serie di studi internazionali raccolti dalla Fnopi, la Federazione degli ordini infermieristici, stima siano addirittura il 57% gli errori clinici più o meno gravi commessi nell’arco di un anno. Dato che applicato sul numero degli infermieri pubblici operanti in Italia in burnout da altri 71.500 errori in fase di assistenza per un totale di almeno di 92mila, sicuramente qualcuno in più considerando che uno stesso operatore può essere incappato in più di un errore nel corso dell’anno.

“L’influenza del burnout sulle malattie professionali è un fatto oramai acclarato dalla letteratura scientifica”, afferma Francesco Dentali, presidente Fadoi. “Il rischio di infarto del miocardio e di altri eventi avversi coronarici è infatti circa due volte e mezzo superiore in chi è in burnout, mentre le minacce di aborto vanno dal 20% quando l’orario di lavoro non supera le 40 ore settimanali salendo via via al 35% quando si arriva a farne 70. Evento sempre meno raro con il cronico sottodimensionamento delle piante organiche ospedaliere”, aggiunge Dentali.

In fuga dall’esaurimento

Il 61% de medici testati da Fadoi conclude la sua giornata lavorativa sentendosi “emotivamente sfinito”. Percentuale che scende al 48,4% tra gli infermieri. Ma fa riflettere il fatto che quasi il 50% di medici e infermieri in burnout pensa di licenziarsi entro l’anno.

E il problema si fa ancora più sentire quando si ricopre un ruolo di responsabilità. Tra i coordinatori infermieristici il 45% è infatti in burnout e la stessa percentuale pensa di licenziarsi entro l’anno, lasciando così ancora più sguarnita la trincea del Servizio sanitario nazionale.

Tra i coordinatori medici il 31,8% è in burnout, mentre la percentuale di chi pensa di licenziarsi entro l’anno è del 47,4%. Qui a sentirsi “emotivamente sfinito” è l’80% del campione, mentre il senso di frustrazione accompagna il 60% di loro e il 70% sente di non poter assolvere adeguatamente ai propri compiti. Percentuali simili a quelle rilevate per i medici in corsia, dove però scende al 53% la sensazione di trattare adeguatamente in modo troppo impersonale i propri pazienti.

L’impatto del burnout

“Il lavoro sanitario ai tempi del burnout nuoce tanto alla salute dei cittadini che a quella di medici e infermieri”, commenta il presidente della Fondazione Fadoi, Dario Manfellotto. “Un problema sentito nei reparti di medicina interna, che una anacronistica e vetusta classificazione ministeriale con il codice 26 definisce ancora a bassa intensità di cura, quando basta scorrere l’elenco delle cartelle cliniche per capire che i nostri sono pazienti complessi che necessitano di medio-alta intensità di cura”.

Manfellotta punta il dito sulla “sotto dotazione sia in termini di organico che di tecnologia” dei reparti.

Quelli che resistono

Nonostante le difficili condizioni di lavoro, la buona notizia è che la stragrande maggioranza dei medici e degli infermieri “sente di aver affrontato efficacemente i problemi dei propri pazienti” e di “aver realizzato molte cose nel corso della propria attività lavorativa”. Mentre nello specifico l’84% dei camici i bianchi “crede di influenzare positivamente la vita delle altre persone con il proprio lavoro” e nel 73% dei casi si sente “rallegrata dopo aver lavorato con i propri pazienti”.

Stipendi e condizioni di lavoro

“E’ proprio da questo senso di attaccamento alla propria mission e dalla realizzazione di se in un lavoro che nonostante tutto e tutti salva vite e aggiunge qualità agli anni di ciascuno che bisogna ripartire, se veramente si ha a cuore il destino della nostra sanità pubblica”, conclude Dentali. “Occorre rendere nuovamente attrattive tra i giovani tanto la professione medica che quelle infermieristica. Portando a un livello di dignità professionale retribuzioni che sono tra le più basse d’Europa, ma riqualificando anche formazione e condizioni lavorative”. Una sfida che il nostro Ssn non può permettersi di perdere.

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