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Rivoluzione pangenoma: cos’è e come cambierà ricerca e cure

analisi Dna
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Venti anni dopo il lancio del Progetto Genoma Umano, un team internazionale – di cui fanno parte anche ricercatori italiani – ha fatto il primo passo in quella che è stata ‘battezzata’ l’era del pangenoma. E questo grazie a un pugno di pubblicazioni che ci mostrano la prima ‘fotografia’ della diversità genetica umana.

Adesso, spiegano gi scienziati, si potranno confrontare popolazioni differenti per cogliere somiglianze e (soprattutto) variazioni nel loro genoma, grazie a una preziosa banca dati. Con prospettive interessanti nella ricerca su malattie rare, infertilità, tumori e patologie ereditarie. 

Ma di cosa si tratta, e in che modo questo filone della genetica è destinato a rivoluzionare la ricerca e la cura delle malattie? Fortune Italia lo ha chiesto al genetista Giuseppe Novelli dell’Università di Roma Tor Vergata.

Perchè la diversità è preziosa

“Un pangenoma è la sequenza collettiva dell’intero genoma di più individui che rappresentano la diversità genetica della specie – precisa Novelli – Originariamente è stato raccolto per i batteri e solo di recente applicato all’uomo, in quanto si ritiene che l’analisi dell’intero genoma umano sia molto più variabile di quanto finora rivelato. Soprattutto, bisogna considerare che il nostro genoma è molto più flessibile e dinamico. Inoltre i dati del pangenoma sono caratterizzati dall’essere molto approfonditi e soprattutto di elevata qualità, grazie alle nuove macchine di sequenziamento di cui oggi disponiamo”.

Ma facciamo un passo indietro. Il pangenoma permette di confrontare in parallelo una grande numero di sequenze genetiche umane in modo da individuare le minime variazioni nel Dna. Un progresso che, sono convinti i ricercatori, apre la strada a nuove frontiere per la ricerca e la comprensione delle malattie.

Gli studi da copertina

Il lavoro, coordinato dal consorzio internazionale Human Pangenome Reference, ha conquistato la copertina di Nature, che gli dedica sei articoli su varie riviste del gruppo.

La prima foto della diversità genetica umana è nel cloud, liberamente accessibile nella piattaforma AnVil (National Institutes of Health).

Grazie alla ricerca è stata ottenuta una sorta libreria dei genomi umani teoricamente vasta quanto l’umanità, nella quale ogni individuo è descritto in due volumi. Attualmente i volumi della libreria sono 94: due per ognuno dei 47 Dna di persone di etnie diverse convolte finora nel lavoro. Ma l’obiettivo è arrivare a 350 persone per la metà del 2024.

I costi della ricerca e il contributo italiano

Il tutto per un costo previsto di circa 40 milioni di dollari in cinque anni. L’analisi condotta sui genomi del pangenoma ha già permesso di conoscere una grande quantità di nuove lettere del Dna umano, con 119 milioni di nuove di paia di basi e 1.115 mutazioni, spiegano gli scienziati guidati da Benedict Paten, dell’Università della California a Santa Cruz.

“Stiamo introducendo più diversità ed equità nel riferimento campionando diversi esseri umani, includendoli in questa struttura che tutti possono usare”, ha affermato Paten. “Un genoma non è sufficiente per rappresentare tutti: il pangenoma alla fine sarà qualcosa di inclusivo e rappresentativo”.

Nel team – ricorda l’Ansa – ci sono anche nomi italiani: Andrea Guarracino, che lavora fra l’Università del Tennessee e lo Human Technopole di Milano, Vincenza Colonna, che lavora fra l’Università del Tennessee e l”Istituto di Genetica e biofisica del Consiglio Nazionale delle Ricerche a Napoli, Silvia Buonaiuto del Cnr-Igb e Flavia Villani. Arriva dall’Università di Pisa il contributo del bioinformatico Moses Njagi Mwaniki.

Proprio ai ricercatori italiani si deve anche una delle prime applicazioni della pangenomica, con la scoperta del ruolo che un particolare gruppo di cromosomi gioca nell’infertilità.

Le possibilità aperte dallo studio

I dati del pangenoma “sono caratterizzati dall’essere molto approfonditi e, soprattutto, di elevata qualità, grazie alle nuove macchine di sequenziamento di cui oggi disponiamo. Inoltre, questo nuova mappa aggiornata di riferimento – precisa Novelli – conterrà informazioni non solo di sequenza di lettere del Dna (ACTG), ma anche di segmenti ripetuti e deleti ereditati dai genitori, che migliorerà l’interpretazione rispetto all’attuale genoma di riferimento umano”.

“Ad esempio oggi ci fa capire un mistero durato oltre 50 anni: perché alcuni cromosomi come il 13, il 21 (associato alla sindrome di Down), il 14 si scambiano materiale genetico pur essendo differenti (lo scambio deve avvenire tra cromosomi identici) e questo è alla base dei casi rari (5%) di sindrome di Down ereditata per traslocazioni tra questi elementi”.

Dal genoma al pangenoma

“Il primo genoma di riferimento che utilizziamo tutti i giorni per orientarci e trovare le differenze tra gli individui (ad esempio sani e malati) – ricorda Novelli – proveniva da un individuo nero americano con origini africane ed europee, che aveva risposto a un annuncio di volontariato in un giornale di Buffalo nel 1997, integrato poi per circa il 30% da un mix di all’incirca 20 persone. Il pangenoma contiene invece materiale di 24 persone di origine africana, 16 delle Americhe e dei Caraibi, sei dell’Asia e una dell’Europa. Questo rende i test genetici più accurati, migliora e facilita la scoperta di farmaci e rafforza la medicina personalizzata, che utilizza il profilo genetico unico di qualcuno per guidare le decisioni per prevenire, diagnosticare e curare le malattie”.

Una rivoluzione (anche per le malattie rare)

Se una persona ha una variazione in un certo gene, insomma, il genetista avrà più riferimenti per fare un paragone. “Inoltre il pangenoma sarà organizzato in una mappa di sistemi di coordinate semplice e intuitivo – spiega Novelli – per fare identificare rapidamente le sequenze di interesse patogenetico. La gestione e l’interpretazione di questi dati richiedono naturalmente competenza e analisi transdisciplinari, altrimenti si rischia di fare “un genoscopo” invece di incidere, ad esempio, sulle tante malattie rare ancora senza nome che oggi sfuggono all’analisi del Dna (e che sono almeno un 30-40%): queste patologie – assicura Novelli – potrebbero avere una diagnosi appena i dati del pangenoma saranno disponibili”.

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