Ci siamo quasi: per il nodo del payback sui dispositivi medici il momento della svolta si avvicina. E la scadenza, prevista per il prossimo mese di giugno, potrebbe mettere in difficoltà migliaia di aziende, prive della liquidità necessaria. Non a caso, qualche mese fa, avevamo parlato di tempesta perfetta per il biomedicale italiano.
A stimare l’impatto del payback sul settore è un nuovo studio Nomisma, commissionato da Pmi Sanità e da Fifo Sanità Confcommercio. Lo Studio ha interessato 4.000 società della filiera dei dispositivi medici attive in tutta Italia.
La questione è nota, e ha portato in piazza nei mesi scorsi imprenditori e figure apicali delle imprese italiane dei dispositivi medici.
Ebbene, sono oltre 1.400 le aziende – e 190.000 i posti di lavoro – che potrebbero essere a rischio a causa della richiesta di Payback per dispositivi medici.
A pesare sul comparto anche il combinato disposto della crisi delle materie prime, di Covid-19 e dell’energia. Da quando la richiesta di ripiano è stata maturata (2015-2018) al 2021, 1 azienda su 8 risulta cessata, in liquidazione o in stato di insolvenza mentre 1 su 3 risulta in stato di sofferenza.
Mettendo insieme le aziende già in una situazione di squilibrio con quelle in difficoltà a seguito del payback, secondo Nomisma sarebbero quasi 1.400 le imprese coinvolte. Imprese che hanno già versato imposte per 3,8 miliardi di euro nei quattro anni interessati dalla richiesta di ripiano, ai quali si aggiungerebbe la relativa quota di payback, pari a 704 milioni di euro.
Uno tsunami per le Pmi, più fragili e meno capitalizzate, che sarebbero chiamate a versare un importo pari a oltre 1/3 dei margini lordi e oltre il 60% degli utili prodotti nell’ultimo esercizio.
In effetti in ballo non c’è solo la questione economica. Oltre ai rischi occupazionali e di erosione del gettito, Nomisma segnala anche un rischio forniture, “con possibili ripercussioni negative anche sui prezzi di acquisto” e sui cittadini pazienti.
