AI e lavoro, i rischi per chi la usa tutti i giorni

AI lavoro

Proviamo, per gioco, a paragonare l’AI ad una vera e propria “terapia” per migliorare le prestazioni lavorative. Non ci sono dubbi che possa rendere più efficace l’operatività quotidiana favorendo lo svolgimento delle mansioni di molti dipendenti. Quindi, sul fronte del “valore” delle cure, in questo curioso parallelo tra medicina e lavoro, ci sono effettive evidenze di valore.

Ma vi siete mai chiesti quali potrebbe essere gli effetti indesiderati per chi “assume”, ovvero fa proprio l’utilizzo dell’Intelligenza Artificiale nella sua vita professionale di ogni giorno? Ecco, su questo la letteratura scientifica inizia ad offrire informazioni che da un lato segnalano un valore per l’affiancamento dell’AI all’essere umano anche su questo fronte, dall’altro ipotizzano anche un potenziale impatto psicologico non proprio auspicabile per chi interagisce frequentemente con i sistemi di Intelligenza artificiale.

Il peso del rapporto umano ovviamente carente, infatti, alla lunga potrebbe portare ad una maggiore sensazione di solitudine per chi lavora. E magari, con effetti sempre più specifici in chi è a rischio, anche un maggior rischio di insonnia e di sviluppare abitudini non proprio salutari, come accade per chi più facilmente sfogare il malessere psicologico anche con bevande alcoliche. 

Sia chiaro. Si tratta solamente di introspezioni psicologiche che mostrano come sia ancora da esplorare il percorso ottimale di utilizzo dell’AI per chi opera costantemente con questo strumento. Ma i dati che emergono dalla ricerca coordinata da Pok Man Tang dell’Università della Georgia, apparsa su Journal of Applied Psychology, non possono non fa riflettere.

Anche perché si riferiscono a professionisti che hanno operato con l’AI (fianco a fianco, verrebbe da dire, anche se si tratta di un fiancheggiamento “virtuale”) in diverse aree del pianeta, con culture lavorative e professionali ben diverse tra loro come Taiwan, Malesia, Indonesia e Usa.

Soprattutto, nei diversi Paesi sono state seguite professionalità diverse, da quella ingegneristica fino ad esplorare impiegati o esperti di mercato immobiliare. A prescindere dall’attività, la prospettiva di “peso” psicologico della collaborazione con il sistema “pensante” è rimasta sempre presente. Secondo l’esperto, per chi si isola al lavoro agendo con interfacce come i sistemi di Intelligenza Artificiale si rischia di perdere la dimensione umana delle ore di lavoro.

E non si tratta di un aspetto da sottovalutare, visto che l’uomo è in fondo un animale sociale e ha bisogno, anche operativamente, di non esplorare ripetutamente e cronicamente ambienti in cui la solitudine (o meglio la vicinanza con i sistemi di AI), diventa protagonista della vita lavorativa. A soffrire di più la vicinanza con l’AI e l’impossibilità di rapportarsi con la macchina come si farebbe con il collega, peraltro, sono le persone che hanno più elevati livelli di ansia di attaccamento. Per chi ha bisogno, insomma, il computer può diventare un potenziale nemico se non ci si cura della componente psicologica dei dipendenti. 

Viene da riflettere, quindi. Stiamo attenti. Magari in futuro gli sviluppatori di programmi per AI potrebbero considerare anche questi aspetti “umani” e chi propone il lavoro potrà riflettere su una limitazione temporale dell’esposizione ai sistemi stessi, compensando questa situazione con offerta di socializzazione per i propri collaboratori.

L’importante è considerare l’aspetto umano. Perché abbiamo bisogno degli altri. Dobbiamo parlare, scambiare sguardi, segnalare la nostra fisicità anche in ambito lavorativo. Altrimenti aumenta il pericolo di sentirci soli. E per tante ore al giorno. Magari con qualche effetto collaterale positivo, anche questo emergente dall’analisi, che non nasce dalle scelte del singolo ma dal bisogno di trovarsi in sintonia con i suoi simili.

La ricerca mostra infatti che chi utilizzava spesso i sistemi di AI più facilmente si trovava ad offrire aiuto ai colleghi. Ma ipotizza anche che questa disponibilità nei confronti degli altri fosse più figlia di un bisogno emotivo per contrastare la solitudine che di una reale scelta collaborativa. Come a dire che l’offerta di aiuto era in realtà una richiesta della stessa moneta. Agli altri. Per sentirsi vicini, anche quando l’AI diventa la compagna, più o meno ingombrante, di tante giornate. 

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