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Mano bionica, paziente ‘ingegnerizzato’ muove le dita in modo naturale/VIDEO

mano bionica protesi
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Per la prima volta un paziente amputato è stato ‘modificato chirurgicamente’ per riuscire a muovere ogni singolo dito della sua mano bionica come se fosse un arto naturale.

L’ibrido uomo-macchina preconizzato da tanti film di fantascienza è oggi più vicino, grazie a rivoluzionari progressi chirurgici e ingegneristici che fondono gli esseri umani con parti robotiche, sensori e intelligenza artificiale, come ci mostra l’ultima ricerca sul campo delle protesi hi-tech, che apre nuove speranze alle persone amputate.

Max Ortiz Catalan Bionics and Pain Research Chalmers/Paziente indossa la mano bionica nel laboratorio del Center of Bionics and Pain research

Lo studio (che parla italiano)

La novità arriva da uno studio pubblicato su Science Translational Medicine, che descrive il primo caso documentato di una persona il cui corpo è stato modificato chirurgicamente per incorporare sensori speciali e un impianto scheletrico.

Alcuni algoritmi di intelligenza artificiale hanno poi tradotto le intenzioni del paziente nel movimento mirato della protesi bionica. Allo studio, coordinato dal Center for Bionics and Pain Research (CBPR, Svezia), hanno partecipato anche due italiani: Enzo Mastinu, assegnista dell’Istituto di BioRobotica della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e Paolo Sassu, specialista in Ortopedia e Traumatologia e chirurgo della mano dell’Istituto Ortopedico Rizzoli di Bologna.

La sfida

Mano e braccia protesiche sono la soluzione più comune per sostituire un’estremità persa per un incidente o una malattia. Tuttavia questi arti sono difficili da controllare e spesso inaffidabili, dal momento che hanno solo un paio di movimenti disponibili. I muscoli dell’arto residuo sono la fonte di controllo preferita per i vari modelli di mano bionica. Questo perché i pazienti possono contrarre i muscoli e l’attività elettrica generata da queste contrazioni può essere utilizzata per ‘dire’ alla protesi cosa fare, ad esempio aprire o chiudere le dita.

Un grosso problema per chi è amputato sopra il gomito: in questo caso non rimangono molti muscoli per comandare le numerose articolazioni robotiche necessarie per ripristinare appieno la funzione di un braccio e di una mano.

Un team multidisciplinare di chirurghi e ingegneri ha aggirato questo problema riconfigurando l’arto residuo e integrando sensori e un impianto scheletrico collegati elettricamente e meccanicamente a una protesi hi-tech.

Sezionando i nervi periferici e ridistribuendoli su nuovi bersagli muscolari utilizzati come amplificatori biologici, questa mano bionica può accedere a molte più informazioni, in modo che l’utente riesca a comandare a piacimento le diverse  articolazioni robotiche. 

Il futuro sarà dell’uomo-macchina?

La ricerca è stata guidata dal professor Max Ortiz Catalan, direttore e fondatore del Center for Bionics and Pain Research (CBPR) in Svezia, responsabile della ricerca sulle protesi neurali presso il Bionics Institute in Australia e professore di bionica presso la Chalmers University of Technology in Svezia.

“In questo articolo – spiega – dimostriamo che ricablare i nervi su diversi bersagli muscolari in modo articolato e simultaneo non solo è possibile, ma favorisce anche un migliore controllo protesico. Una caratteristica chiave del nostro lavoro è che abbiamo la possibilità di implementare clinicamente procedure chirurgiche più raffinate e incorporare sensori nei costrutti neuromuscolari al momento dell’intervento (poi li colleghiamo al sistema elettronico della protesi tramite un’interfaccia osteointegrata). Gli algoritmi di intelligenza artificiale si occupano del resto”.

L’ancora in titanio

Gli arti protesici sono comunemente attaccati al corpo da un ‘aggancio’ che comprime l’arto residuo causando disagio. Oltretutto si tratta di una parte meccanicamente instabile. Un’alternativa consiste nell’utilizzare un impianto in titanio posizionato all’interno dell’osso residuo, che diventa così fortemente ancorato alla protesi. Una procedura nota come osteointegrazione. Questo  attacco scheletrico secondo i ricercatori consente un collegamento meccanico comodo e più efficiente della protesi al corpo.

“È gratificante vedere che la nostra innovazione chirurgica e ingegneristica all’avanguardia può fornire un livello così elevato di funzionalità a un individuo con un’amputazione del braccio. Questo risultato si basa su oltre 30 anni di graduale sviluppo del concetto, cui sono orgoglioso di aver contribuito”, commenta Rickard Brånemark, ricercatore affiliato al Mit, professore associato all’Università di Göteborg e Ceo di Integrum, uno dei maggiori esperti di osteointegrazione per le protesi degli arti, che ha condotto l’impianto dell’interfaccia.

L’intervento è avvenuto presso l’ospedale universitario Sahlgrenska, dove si trova il CBPR. La procedura di ricostruzione neuromuscolare è stata condotta da Paolo Sassu, che ha anche guidato il primo trapianto di mano eseguito in Scandinavia. “L’incredibile viaggio che abbiamo intrapreso insieme agli ingegneri bionici del CBPR – racconta Sassu – ci ha permesso di combinare nuove tecniche microchirurgiche con sofisticati elettrodi impiantati che forniscono il controllo di un braccio protesico e un feedback sensoriale. I pazienti che hanno subito l’amputazione del braccio potrebbero ora avere di fronte un futuro migliore”.

I ricercatori hanno anche dimostrato come il sistema risponde nelle attività della vita quotidiana, e stanno migliorando ulteriormente la parte relativa al controllo della mano bionica.

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