AI a tavola, la ricerca per dotarla di ‘gusto’

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Fredda. Matematica. Magari davvero poco fallibile. Ma anche terribilmente mancante di empatia. Quando si parla dell’intelligenza artificiale, si rimprovera spesso all’AI e alle sue applicazioni la carenza sull’aspetto psicologico, che invece caratterizza il ragionamento umano.

Se è vero che non siamo algoritmi con i nostri percorsi intellettivi, è infatti altrettanto innegabile che a guidarci nelle scelte possono esserci elementi che difficilmente entrano in gioco nei programmi che, incrementando progressivamente le competenze, governano l’AI. Volete un esempio? Pensate al nostro comportamento a tavola. Se siamo particolarmente golosi di un particolare alimento, ad esempio il cioccolato, il “governo” delle nostre scelte non può essere assicurato solamente da meccanismi legati alla ripienezza gastrica o ai segnali biochimici (e non solo) che dallo stomaco raggiungono il cervello, sollecitando lo stop all’introito di cibo.

A guidarci c’è la gola. E c’è il gusto, con il bisogno di assumere ancora porzioni dell’alimento che più ci piace. Vale per il cioccolato così come per cibi salati come il formaggio stagionato, o ancora per alimenti di gusto umami come il classico sugo dell’arrosto, il succo di pomodoro o le acciughe sotto sale. Ciò che ci piace, insomma, diventa una sorta di “must” che ci guida nelle scelte. E aggiunge una componente emotiva all’intelligenza. Si può quindi pensare a un’AI che riesce in qualche modo ad incorporare anche elementi francamente psicologici nel suo percorso razionale di valutazione e costante aggiornamento? E si riesce ad aggiungere nella dimensione “pensante” del sistema anche un aspetto emotivo?

E’ a questa domanda che hanno provato a rispondere alcuni studiosi dell’Università Statale della Pennsylvania, in una ricerca apparsa su ‘Nature Communications’. Il loro impegno, come rivela in una nota dell’ateneo americano Saptarshi Das, uno degli autori, ha cercato la possibile interazione tra componente razionale ed intelligenza emotiva, nelle scelte alimentari.

“Il comportamento umano è facile da osservare ma difficile da misurare e ciò rende difficile replicarlo in un robot e renderlo emotivamente intelligente – spiega l’esperto – Al momento non esiste un vero modo per farlo”. Così a tavola, a guidarci (almeno dalle nostre parti, dove il cibo non manca) non è la fame quanto piuttosto la gola. E le scelte alimentari dipendono proprio da questo.

Ognuno ha delle preferenze di gusto, che vanno a superare le barriere razionali del percorso fatto di set di dati, per quanto essi siano precisi. Perché si mangia anche se magari non si ha fame. Per soddisfazione, e allora? Allora gli esperti americani hanno provato a riprodurre un meccanismo che consideri anche questi aspetti, partendo proprio dalla fiologia del gusto.

Normalmente i recettori presenti sulla lingua recepiscono composti chimici presenti nei cibi, per trasformarli poi in impulsi elettrici. Poi, nel cervello, si disegna la nostra percezione. Da questa osservazione sono nate, in laboratorio, la “lingua” elettronica e una “corteccia gustativa” elettronica realizzata con materiali 2D.

Le papille gustative artificiali includono minuscoli sensori elettronici a base di grafene, che possono rilevare gas o molecole chimiche. L’area cerebrale è invece stata disegnata e realizzata con specifici transistor, capaci di mantenere anche il ricordo.

Così l’AI potrebbe diventare non solo un meccanismo che risponde alla fisiologia, ma anche un sistema in grado di percepire gli stimoli del gusto personale. Insomma, aggiungere quella quota di emotività che guida le nostre scelte a tavola. Grazie a diversi nanomateriali assemblati in base ai bisogni, insomma, si può arrivare al degustatore robotico.

E forse, in futuro, la dieta personalizzata potrebbe davvero nascere dall’intelligenza artificiale. Con un sistema non solo basato su calorie, macronutrienti e componenti razionali. Ma anche sulle preferenze del gusto di ognuno. Con l’intelligenza emotiva che entra comunque in gioco. Nel percorso del benessere. E della selezione degli alimenti.

Ricordando che quando parliamo di gusto, andiamo oltre la serie di componenti che vanno ben oltre la semplice sensazione che si determina mangiando un alimento, ma tendiamo a combinare anche una serie di altre percezioni che definiscono globalmente quanto mangiamo.

E’ il caso ad esempio dell’aroma, che ovviamente coinvolge l’olfatto, il tatto, che offre informazioni sulla consistenza, addirittura la temperatura dell’alimento stesso, i suoni che lo accompagnano e ovviamente anche la vista, legata alla preparazione del piatto. Per questo la psiche è importante. E l’AI dovrà tenerne conto. 

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