AI e salute, la sfida per i medici

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Che l’AI sia destinata a sparigliare le carte nel mondo sanitario, con applicazioni sempre più diffuse nelle diverse specialità, lo dicono le cifre. Le stime parlano di un mercato che vale 15 miliardi di dollari, nel solo 2023. Ma con un trend che davvero fa riflettere.

Si passerà, stando alle stime a 103 miliardi nel 2028. A fronte di questa impennata di applicazioni per questo supporto decisionale, il mondo medico è davvero pronto alla rivoluzione? E soprattutto, esiste davvero una sorta di algoritmo-fobia che rischia di attanagliare chi opera da tempo, creando disparità nei confronti di questi strumenti nel futuro tra medici di vecchia generazione e giovani dottori “evoluti”, con una vera e propria ‘distorsione da automazione’, ovvaro dalla fiducia eccessiva nell’AI che li porti ad appiattirsi sul ‘parere’ della macchina, sacrificando il giudizio clinico?

Se è vero che il futuro sarà sempre più appannaggio degli ‘Information Specialist’, in grado di dialogare con gli sviluppatori, di guidarli dando loro delle specifiche, capaci di interpretare i dati e mediare queste conoscenze con gli altri colleghi medici, il presente parla di riflessioni accurate sul tema.

Tra chi pensa alla professione del futuro, e magari analizza con la giusta attenzione il trend, ci sono ovviamente gli esperti in Medicina Interna. E non è certo per un caso che proprio al congresso della Simi (Società Italiana di Medicina Interna) ci si interroghi in un discorso “bifronte” con medici ed ingegneri su ciò che accadrà e sui rischi che l’AI possa sostituire progressivamente le competenze dei sanitari.

Fondamentale, a detta degli esperti, è tracciare bene i confini dell’impiego di questi approcci. “L’intelligenza artificiale – segnala il presidente Simi Giorgio Sesti – sta entrando prepotentemente nel campo della medicina grazie alle sue innumerevoli applicazioni e potenzialità. Ritengo molto prematuro pensare che l’intelligenza artificiale possa sostituire il medico internista nel porre diagnosi e consigliare la terapia più appropriata, ma potrà certamente contribuire a perfezionare gli strumenti a disposizione del medico per l’apprendimento, l’aggiornamento, la formazione sul campo tramite le simulazioni, la diagnostica avanzata. L’intelligenza artificiale è certamente una grande opportunità anche per la ricerca perché le sue applicazioni possono accelerare la scoperta di nuove molecole farmacologiche e lo sviluppo di indagini sempre più sofisticate per la diagnosi precoce di patologie croniche”. 

Giorgio Sesti presidente Simi

Di cosa stiamo parlando? Togliamoci dalla testa le idee del passato. Perché se parliamo di AI, bisogna intendersi sui termini. E non pensare solamente a modelli e sistemi di diagnostica assistita, per quanto potenzialmente capaci di apprendere, come avveniva qualche anno fa.

Come dice Federico Cabitza, associato di Informatica presso il Dipartimento di Informatica, sistemistica e comunicazione Università di Milano Bicocca, l’AI di nuova generazione è “basata sui dati e sviluppata con tecniche di apprendimento automatico. E questa non è ancora diffusa negli ospedali italiani, anche se è già integrata in tanti dispositivi medici. I medici che hanno usato queste applicazioni nell’arco degli ultimi 5-6 anni, lo hanno fatto finora solo nell’ambito di studi prototipali, sperimentali, a scopo di ricerca”.

Insomma, la sensazione è che si sia molto più avanti rispetto alla percezione sull’AI. E per questo non stupisce che oltre alla radiologia e alla ricerca dei nuovi farmaci, l’intelligenza artificiale stia diventando un passaggio basilare per portare alla diagnosi precocissima di tumori, facendo preconizzare in futuro un suo impiego nello screening diffuso. 

Secondo Renato Cannizzaro, professore associato di Gastroenterologia Università di Trieste e direttore SOC Gastroenterologia Oncologica e Sperimentale, Centro di Riferimento Oncologico Irccs Istituto Nazionale Tumori di Aviano “al momento la diagnosi precoce e lo screening/sorveglianza dei pazienti ad alto rischio rappresentano il più importante intervento efficace per ridurre l’incidenza e la mortalità”.

Un adeguato campionamento istologico consente la stratificazione del rischio per i pazienti con condizioni o lesioni precancerose. Tuttavia, l’endoscopia diagnostica del tratto gastrointestinale superiore ha una mancata diagnosi nel 10% dei casi (falsi negativi). Ma l’AI potrebbe aiutare a erodere il margine di queste mancate diagnosi.

“L’applicazione in tempo reale dell’intelligenza artificiale per il rilevamento e la caratterizzazione delle neoplasie del tratto gastrointestinale superiore – spiega Cannizzaro – si basa principalmente su algoritmi di deep learning che consentono l’estrazione automatica estrazione delle caratteristiche di input richieste per il riconoscimento delle lesioni. Un vantaggio unico del rispetto all’occhio umano è la sua capacità di esplorare tutti i ‘pixel’ di ciascuna immagine, in tutte le immagini consecutive di un’endoscopia del tratto gastrointestinale superiore, senza alcuna mancanza transitoria di attenzione o stanchezza. L’AI evidenzia con un quadrato o un cerchio una lesione sospetta, suggerendo una diagnosi e differenziando clinicamente tra 2 o più diagnosi. Ma può anche prevedere la profondità di invasione di lesioni neoplastiche visibili e differenziare il tessuto neoplastico da quello non tumorale o dalla presenza di condizioni precancerose, come l’atrofia gastrica”.

Insomma: in futuro un programma di screening endoscopico potrebbe diventare sempre più efficiente proprio grazie all’AI. Ed è solo un esempio. Pensate al tumore del pancreas. Su Nature Medicine un’equipe coordinata da Davide Placido, applicando modelli di intelligenza artificale sulle cartelle cliniche di 6,2 milioni di pazienti, ha individuato i soggetti ad alto rischio di sviluppare un tumore fino a 3 anni prima rispetto a quanto riusciamo a fare al momento. Se questa non è una rivoluzione…

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