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Dal social media manager al divulgatore, gli identikit del comunicatore

comunicatore
Gilead

C’è il giornalista, l’addetto stampa, ma anche la comunicatrice istituzionale, il divulgatore scientifico, il content creator, il social media manager, il cantante, l’autore di inchieste: oggi a occuparsi di comunicazione sono figure diverse, su differenti media. Per dire, ai quasi 110mila giornalisti, dobbiamo aggiungere 21mila tra addetti stampa e quanti si occupano di comunicazione di imprese, associazioni, ed enti pubblici.

E in realtà il numero dei ‘comunicatori’ è in continuo aumento, se consideriamo anche gli influencer e quanti ‘comunicano’ sul web. A cercare di tracciare l’identikit della professione del moderno comunicatore è un libro, firmato da Silvia Grassi e Roberto Iadicicco: ‘Comunicatore a chi?’ (Guida editori). Un volume scritto, forse non a caso, da due giornalisti, che nella loro carriera si sono occupati anche di comunicazione istituzionale (e non).

Comunicatore a chi

“È inevitabile che fra i comunicatori ci sia anche il giornalista – dice a Fortune Italia Iadicicco, giornalista e medico, Head of External Communication di Eni Foundation – Il fatto è che ormai ce ne sono molti altri: l’influencer, il pubblicitario, il social media manger. Oggi il messaggio è molto legato al marketing e il giornalista su questo fronte è frenato perché ha delle regole, mentre gli altri comunicatori no. Il giornalista, per dire, non può fare pubblicità”.

Ma non mancano le sfide: nell’era dei Social a decretare il successo sono più i numeri che i contenuti? A queste domande cerca di rispondere questo libro, attraverso il contributo di chi ha fatto della comunicazione una professione, celebrità del calibro di Simona Agnes, Claudio Baglioni, Carlo Bartoli, Novella Calligaris, Gianni Canova, Piero Chiambretti, Andrea Delogu, Nino Di Matteo, Romana Liuzzo, Alessandro Paolucci (in arte @Dio), Filippo Patroni Griffi , Lorenza Pigozzi, Fabrizio Pregliasco, Andrea Purgatori, Monica Setta e, per la prefazione, Giovanni Grasso.

Ma allora le prospettive professionali nell’epoca dei social sono più ampie? “Un giovane oggi – dice Iadicicco a Fortune Italia – se vuol fare il comunicatore potrebbe iniziare da giornalista e poi dedicarsi a una delle professioni collegate: l’ufficio stampa, il portavoce di un’azienda. Ma le regole d’ingaggio restano quelle”. E non parliamo delle 5 W (Who, What, Where, When, Why), ma “dei tre setacci di Socrate: se una cosa è vera, se è di interesse, se è buona. Il giornalista agisce per informare la gente, il comunicatore può agire per altri fini”.

Ecco perchè, nonostante gli algoritmi e l’intelligenza artificiale “ci sarà ancora bisogno di giornalisti: una garanzia – conclude Iadicicco – per non limitarsi a dare informazioni, ma raccontare fatti in modo credibile“. Fretta, fake news, eccesso informativo, volontà di stupire: ecco i mali che un comunicatore ‘doc’, forse faremmo meglio a dire un giornalista 4.0, dovrebbe temere come il fumo negli occhi. L’attenzione altrui è un patrimonio prezioso, da ‘calamitare’ responsabilmente.

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