Ricerca, la mappa del gender gap in Europa

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Altro che soffitto di cristallo: quello che ostacola la carriera delle donne dell’università e della ricerca appare piuttosto solido nel Vecchio Continente, dove pure queste ultime rappresentano circa la metà dei laureati e dei dottorati. A dircelo è il dato su professori ordinari, direttori di dipartimento o di centri di ricerca: appena il 26% è donna, secondo un nuovo studio pubblicato su The Lancet Regional Health – Europe. E i numeri italiani, come vedremo fra poco, non brillano.

A firmare il lavoro sono, potremmo dire, alcune delle ‘mosche bianche’ che operano nell’accademia italiana, ovvero Stefania Boccia, ordinaria di Igiene generale e applicata alla Facoltà di Medicina e chirurgia dell’Università Cattolica (vice direttrice scientifica della Fondazione Policlinico Gemelli), insieme a Sara Farina, medico in formazione specialistica presso l’ateneo e Raffaella Iafrate, ordinaria di Psicologia Sociale alla Facoltà di Psicologia dell’Università Cattolica, campus di Milano (e pro-rettrice delegata alle Pari Opportunità).

Come sottolinea Boccia, il gender gap provoca “una perdita di talenti nel mondo accademico, ma anche una perdita del punto di vista femminile che potrebbe aggiungere idee, innovazione e creatività preziose nei team di ricerca. Inoltre, la scarsità di modelli e mentori femminili di successo in posizioni di rilievo ha un impatto negativo anche sulla fiducia e sull’ambizione delle donne nel perseguire una carriera accademica”. Come dire: c’è chi, scoraggiata, nemmeno ci prova.

Una proprozione che cambia nel tempo

Insomma, nelle università via via che si sale, si incontrano sempre meno donne – che, pure, sono il 33% della forza lavoro nel mondo della ricerca. A fare la differenza sono anche le  discipline. Se in quelle umanistiche le donne occupano più del 30% delle posizioni più alte della carriera accademica, si scende al 22% per le scienze naturali e al 17,9% per l’ingegneria e la tecnologia.

Il gender gap in Italia

Non stupirà troppo il ritardo del nostro Paese, terzultimo in Europa con solo il 17% di donne nei ruoli più alti nella ricerca.

A ostacolare la carriera femminile, il pregiudizio nei confronti della donna che si dedica alla scienza, ma anche difficoltà legate al mancato riconoscimento del lavoro femminile, come testimoniano il persistente divario salariale tra uomini e donne. O anche la presenza di solo il 29,8% di nomi femminili tra gli autori di articoli scientifici e la mancanza di programmi di mentorship dedicati alle donne.

L’ostacolo più difficile da abbattere, però, risiede nello scontro tra gli importanti oneri lavorativi del ricercatore e le responsabilità familiari, che ancora oggi impattano in maniera sproporzionata sulle donne, soprattutto dopo la maternità. Evidentemente non solo in Italia.

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