Un patto One Health tra pharma, istituzioni e pazienti: l’appello dal Forum di Fortune Italia

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Un patto One Health che unisca imprese, accademia, istituzioni e pazienti sotto il cappello della presidenza del Consiglio per fare quel salto che Fortune Italia auspica da tempo: la proposta è stata lanciata durante il Forum One Health di Fortune Italia dai protagonisti del pharma del nostro Paese. “Questa è la strada da percorrere: assolutamente sì. Se si vuole raggiungere dei risultati bisogna farlo insieme”, ha detto Nicoletta Luppi, President and Managing Director MSD Italy, durante l’evento.

Nella seconda giornata del primo One Health Forum di Fortune Italia il confronto fra istituzioni, ricercatori, associazioni e imprese è continuato: dopo aver parlato di Esg, è arrivato il momento di far entrare nel discorso anche l’H di health, e a farlo sono i protagonisti del settore, a cominciare dal pharma.

Tanti i temi emersi durante la giornata. Tra questi, la carenza di farmaci, ma anche la difficoltà per le imprese a produrre nuovi antibiotici. Nel contesto attuale “non esiste nessun appeal di portare un nuovo antibiotico in commercio”, ha detto Lucia Aleotti, azionista e membro del Cda Menarini.

One Health, l’unione tra finanza e salute

Ha aperto la seconda giornata del Forum, in collegamento da Ginevra, Ruediger Krech, Director of the Health Promotion Department dell’Oms, con un intervento sul ruolo degli attori del settore finanziario negli investimenti nella salute globale. “È tempo che finanza ed health lavorino insieme”, ha spiegato. “Se vogliamo portare sostenibilità nei mercati finanziari dobbiamo parlare i linguaggi di finanza e mondo della salute. Unire l’ESG con l’H di health non è solo un obbligo morale ma anche un contributo allo sviluppo sociale ed economico, offrendo triple opportunità di ritorno economico a livello di investimento”. Includere i criteri health nelle strategie Esg, spiega il dirigente dell’Oms, è un vantaggio per le aziende.

“Con una frazione del denaro costato con la pandemia, 11.000 mld di dollari, avremmo potuto eliminare la povertà globale: un esempio di cosa succede quando la salute non viene considerata”, spiega Krech. Nel 2030 potrebbe arrivare a 370 mld il bisogno di ‘funding’ della salute globale. “Senza il settore privato sarà impossibile raggiungere questo obiettivo. Ci sono esempi positivi dai modelli di investimento green che possono essere applicati per il settore della salute”.

Rudiger Krech (OMS): nella finanza sostenibile ‘la chiave’ della nuova sanità globale

Le sfide del pharma: i numeri da difendere

L’industria farmaceutica è un driver d’innovazione che vanta 49 mld di produzione nel 2022 di cui 47,2 mld di export e investimenti pari a 3,3 mld in produzione e R&S. Ma tra crisi internazionali e storici talloni d’Achille, l’impressione è che questo sia un momento cruciale per il settore, ha ricordato la moderatrice della tavola dell’evento dedicata al pharma, la caposervizio di Fortune Italia Margherita Lopes.

Qual è lo stato di salute del pharma made in Italy? Diverse aziende, anche multinazionali, hanno deciso di investire in Italia: ma allora è diventato più semplice farlo? In collegamento Valentino Confalone, componente del Comitato di Presidenza Farmindustria, spiega che l’export ha un ruolo importante per il pharma, che a sua volta è un driver importante dell’economia, con una crescita molto maggiore rispetto al contesto generale. “Anche l’occupazione è in crescita, e in anni precedenti aveva raggiunto picchi del 9%, con una grande prevalenza femminile. L’industria farmaceutica è un’eccezione in questo, con una larghissima prevalenza di donne, in molti casi in posizioni apicali”. Come mai questi dati così positivi? “Perché il sistema si basa su grandi capacità industriali e capacità di ricerca e innovazione. La filiera è molto forte, con un indotto molto importante in tutte le regioni italiane”, spiega Confalone.

I nuovi brevetti, negli ultimi tre anni, sono cresciuti del 27% con un dinamismo superiore al resto d’Europa, racconta ancora il manager. Il contesto però è più complesso, e le sfide future rendono difficile mantenere queste dinamiche, mentre il sistema salute rimane sottofinanziato con una complessità di regole che limita la crescita.

C’è poi la sostenibilità del modello industriale che impatta tutti i sistemi, mentre si devono attrarre investimenti anche dall’estero: i concorrenti non sono più gli Usa, ma anche Cina, Singapore. Qualsiasi impatto sui costi va a ridurre i margini delle aziende, spiega Confalone: “Le priorità su cui lavorare con le istituzioni? Bel segnale quello sulla legge di bilancio per l’aumento del fondo sanitario nazionale di oltre 11 mld nel prossimo triennio. Dimostra la giusta attenzione, con misure particolari sull’ottimizzazione dell’innovazione. Rimane la sfida del sottofinanziamento per il quale sono necessarie misure di lungo termine, con progetti pilota che superino il modello a silos per patologia: la riforma di Aifa” per l’adozione dei nuovi farmaci è necessaria, quindi. Serve poi “una politica industriale che rafforzi la competitività del Paese. Bene il tavolo sulla farmaceutica tra Mimit e ministero della Salute: speriamo che lì possano emergere misure che ci rendano un Paese attrattivo per gli investimenti”.

Il patto One Health

Quale può essere in concreto il contributo del pharma all’approccio One Health? Serve un patto tra imprese, Accademia, istituzioni e pazienti sotto il cappello della presidenza del Consiglio? La risposta alla proposta emersa durante l’evento di Fortune Italia, secondo Nicoletta Luppi, è un forte sì. “Questa è la strada da percorrere”, dice la President and Managing Director di MSD Italy. “Se si vuole raggiungere risultati bisogna farlo insieme. Scegliendo tutti gli attori che possano avere impatto in un ecosistema andando ad includere l’accademia, le autorità, i pazienti, i cittadini, la voce di chi deve beneficiare dell’impatto finale. Come farlo? Quando si parla di One Health dobbiamo considerare salute umana, animale e ambientale. Pensiamo all’epidemia di ebola, non solo alla pandemia. Tra le cause c’è il clima, la globalizzazione, le commistioni generate dalla convivenza tra esseri umani e animali”.

Pensiamo all’antibiotico resistenza, spiega Luppi, che “entro il 2050 diventerà la principale causa di morte in Europa se non interveniamo. Si può intervenire con obiettivi concreti misurabili. Msd ogni anno pubblica un proprio report e per ogni anno c’è uno stato di avanzamento sui suoi obiettivi ambiziosi su ambiente, persone, innovazione, prevenzione. Tanto si può fare su antibiotico resistenza con le vaccinazioni, ad esempio”.

Renato Loiero, consigliere della Presidenza del Consiglio, risponde all’appello dicendo che “non bisogna lesinare negli investimenti per il pharma. Non spetta a me giudicare il disegno di legge di bilancio, ma quello che è contenuto negli articoli da 41 a 50 evidenzia le priorità scelte: l’incremento del fondo con un +11 miliardi nell’arco del triennio, l’attenzione alle tariffe orarie delle prestazione aggiuntive (il tema dei gettonisti, ndr), la rideterminazione dei tetti di spesa. Gran parte della manovra è stata indirizzata alle esigenze più urgenti: dare conforto a redditi medio-bassi per rispondere all’inflazione con prosecuzione del taglio del cuneo contributivo e con l’intervento sui primi due scaglioni del reddito Irpef. In più casi ho sottolineato che nella comparazione internazionale in Italia negli anni è mancata una strategia per le life sciences. Possiamo sicuramente migliorare”. Gli interventi strutturali, spiega Loiero, dovrebbero confluire in una strategia nazionale.

Pharma, le fragilità del sistema

Uno dei temi caldi di questi mesi è stato quello delle carenze: in 10 anni sono scomparsi dai mercati europei il 26% dei farmaci equivalenti, il 33% degli antibiotici e il 40% dei farmaci oncologici. Teva ha una doppia anima, impegnata in produzione e ricerca: quali sono le sfide oggi legate a equivalenti e innovativi? Umberto Comberiati, Amministratore Delegato di TEVA Italia, spiega che il Governo “sta andando nella direzione giusta”, e che “con la nuova Aifa si ha l’opportunità, nel caso dei farmaci ‘fragili’ che costano pochi euro, di ripensare un sistema che permetta un adeguamento dei prezzi in funzione delle condizioni macroeconomiche”, almeno per quei farmaci considerati, appunto, ‘fragili’.

Ci sono report europei che oggi raccontano che una grande percentuale di farmaci ha “soltanto due fornitori, in un mondo che di solito ne ha una decina. Negli ultimi 10 anni il 40% degli oncologici è sparito dal mercato. Una nuova governance che curi innovazione e sostenibilità industriale dei mercati è ben auspicabile”, aggiunge Comberiati.

Ci sono segnali positivi, quindi, ma c’è anche un rischio. Recentemente, nell’incontro Usa- Cina tra i presidenti Biden e Xi si è parlato di farmaci (in particolare del Fentanyl, ndr). Il 60% delle materie prime di tutti i farmaci, spiega Comberiati, “sono nelle mani di India e Cina. Se la salute è fondamentale forse in Italia e in Europa si deve fare in modo che il sistema migliori ma tutelando le fragilità del sistema stesso”.

Pharma, l’innovazione è in pericolo?

L’innovazione è fondamentale per i pazienti, in particolare quelli oncologici. Parliamo di accesso precoce agli studi clinici e degli studi di fase 4: qual è il messaggio da dare ad aziende e alle istituzioni? Elisabetta Iannelli, Segretario Generale FAVO, dice che “non poter accedere alle cure è inaccettabile anche a livello etico. Capita poi in alcuni periodi dell’anno, come se fosse una sfortuna ammalarsi in una certa stagione. Non possiamo soprassedere. Sui farmaci innovativi comincia a serpeggiare una certa preoccupazione nell’ambito delle associazioni di pazienti. Per una serie di complicazioni che arrivano anche dalla tecnologia, dall’informatica e dalla privacy, le case madri dall’estero non sono tanto contente di investire in Italia, e c’è il rischio che questo impatti sulla ricerca. E magari un paziente italiano così non può partecipare a una particolare sperimentazione clinica. Se non colleghiamo il test al farmaco anche in fase di approvazione abbiamo perso una possibilità”, perché così si inficia una eventuale terapia personalizzata.

Insomma, è un problema delle aziende o del sistema Paese? “Non è che le case madri non vogliono investire: c’è il potenziale per poter fare molto di più su ricerca clinica in Italia”, dice Comberiati. Sul tema, Luppi ricorda “abbiamo investito 80 mln di euro lo scorso anno in ricerca in Italia, nel nostro caso l’80% della ricerca è stato in oncologia. Il problema non è nelle case madri: il Paese deve capire come rendersi più attrattivo e non essere svantaggiato rispetto ad altri Paesi europei”.

Contratti, investimenti e spesa

Le aziende insomma fanno la loro parte, dice Luppi, “ma se avessimo più incentivi… già oggi abbiamo prezzi mediamente più bassi rispetto all’Europa. Bisogna guardare tutto con proattività e cercare di capire come rendere questo Paese più attrattivo, per fare di più insieme”. Sul ruolo nella ricerca, come fatto da Comberiati e Luppi, Confaloni conferma il “grandissimo impegno in Italia delle aziende. A gennaio è stato fatto un passo avanti importante con l’implementazione normativa per l’accelerazione degli studi con un comitato etico unico, che era causa di ritardo. Rimane un passo da fare molto importante per essere ancora hub di ricerca: la parte contrattuale”. Iniziare quella fase “durante la fase di approvazione”, quindi, mentre ora “c’è una tendenza ad attendere l’approvazione dei comitati. Questo ci rende inefficienti, e questa inefficienza la dobbiamo eliminare”.

Riguardo alle terapie avanzate, sottolinea Confalone, “hanno un meccanismo che comporta un problema di sostenibilità. C’è un emendamento già presentato che prevede di considerare i farmaci per terapie avanzate investimenti- con allineamento all’effettiva efficacia – invece che spese correnti che pesano sul bilancio dello Stato per l’intero importo. Questo garantirebbe facilità di accesso”.

Anche il Senatore Giovanni Berrino, della Commissione Affari sociali e Sanità del Senato, commenta il nodo spesa-investimenti. Continuare a ragionare sulla spesa, dice, può essere una strada da seguire. Ma cambiando prospettiva: “Se spendo un più, oltre a salvare vite umane, quanto risparmio sul lungo periodo sui bilanci? Anche senza considerare la spesa come investimento, in 5 anni il bilancio può essere inalterato pur avendo un aumento di spesa nell’anno corrente. Questo approccio può favorire una maggiore spesa attuale”.

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Tra pubblico e privato

Nella tavola rotonda sulle partnership pubblico-privato moderata da Federico Mereta, si è parlato di come le terapie innovative mettano in discussione i modelli organizzativi del sistema sanitario nazionale, ricorda Angela Adduce, Ispettore Generale Capo IGESPES. Il sistema dovrà garantire che “le cure possano essere alla portata del sistema stesso e sostenibili, dovranno avere una compatibilità finanziaria sugli esercizi di bilancio. Si stanno valutando diversi modelli di finanziamento di queste terapie, anche approfondimenti che avvengano in cornice internazionale per vedere se ci debbano essere modifiche di gestione di queste terapie”.

Josephine Romano, Partner e Responsabile della practice area Corporate Compliance Deloitte, ha offerto ai partecipanti ai lavori del Forum lo spunto delle sfide della industria farmaceutica nel quadro normativo europeo. La Corporate Sustainability Reporting Directive entrata in vigore nel 2023, ha spiegato, rafforza gli oneri di trasparenza: la “Csrd impatta significativamente” su tutte quelle imprese del comparto pharma che saranno tenute a rendicontare i propri impatti ESG. Perché dovranno anche “porre in essere un action plan” che riguardi la propria catena di fornitura e “porre in essere misure per la trasparenza su eventuali violazioni”. L’apparato sanzionatorio è significativo: l’effetto è che la portata della direttiva diventi extra europea.

Guido Bartalena, Diagnostic Solution Director di Roche Italia, ha sottolineato come mettere a fattor comune obiettivi e competenze non sia soltanto un’opportunità ma una necessità. In particolare, per lo sviluppo diagnostico, in grado di abilitare il passaggio dalla “fornitura di un servizio” alla “gestione di un paziente”. E, proprio la diagnostica, il cui ruolo è stato fin qui quello di avviare la terapia, individuando il farmaco giusto, può trasformarsi in un prezioso strumento di prevenzione, attraverso lo screening. La nuova frontiera è quella delle malattie neurodegenerative, in primis l’Alzheimer, che sarà possibile diagnosticare grazie a un semplice esame del sangue, in modo da poter fornire al più presto possibile una adeguata risposta terapeutica.

Riccardo Ena, Executive Director PTC Therapeutics, ha spiegato come nella terapia genica sia il lavoro collegiale, la condivisione di competenze, a fare la differenza e quanto, nel caso di trattamenti tanto costosi, la “collaborazione tra pubblico e privato sia fondamentale”. Ha raccontato il caso recentemente affrontato di un bambino affetto da una gravissima malattia rara nel quale, grazie a un prezioso lavoro di squadra con il Policlinico Umberto I, non solo è stato possibile intervenire in un tempo record e con ottimi risultati sul piccolo paziente, ma ha anche portato l’Italia a un livello che permette al nostro Paese di competere con altri centri europei di eccellenza. Tutti dobbiamo assumerci le nostre responsabilità, ha ricordato Ena, uscendo dall’ottica della “spesa”: sicuramente i soldi investiti per la cura del bambino sono stati soldi investiti bene.

Le sfide degli ecosistemi, l’approccio One Health e l’importanza dei dati

La complessità della sfida One Health passa anche dalle sfide per gli ecosistemi, dagli impatti sul clima e dalla necessità di sorvegliare, in ottica di prevenzione, non solo la salute umana, ma anche quella animale. Che ha un impatto gigantesco dal punto di vista della diffusione della malattia. Barbara Capacetti, Country medical director & vice president di Pfizer Italia, ricorda che per prepararsi a una potenziale pandemia la sorveglianza epidemiologica è fondamentale. Ma serve anche “rinforzare la capacità dei laboratori di poter sequenziare” i geni dei patogeni, per poter arrivare prima a una contromossa. “L’altro grande capitolo è quello dell’innovazione”. L’approccio One Health, che mette insieme salute umana, animale e ambientale, è “un gioco di connessione. È proprio così: bisogna integrare competenze diverse, come quelle su vaccini e antibiotici, ma anche la preparazione e la responsabilità di istituzioni aziende e cittadini”.

Salute animale, appunto: secondo Domenico Otranto, Ordinario di Malattie parassitarie animali Università di Bari, la prevenzione è fondamentale: “Dobbiamo pensare a cosa avviene in popolazioni di animali selvatici ma non dimentichiamo la prevenzione su animali che vivono in famiglia”. Il mondo dei ‘pet’, ricorda, “muove una grandissima fetta di economia anche nei momenti di crisi. Si tratta di uno dei comparti che ha resistito alla crisi economica. Vorrei che tra quattro anni non fossimo ancora il fanalino di coda per la ricerca di base: guardare al futuro significa prevedere strategie. Siamo ancora molto lontani da medie europee per investimenti su ricerca di base. Non possiamo sapere cosa ci riserva il futuro, come l’aumento di zanzare pericolose e del fenomeno West Nile, ad esempio”. Per questo, per le minacce ancora non chiare, serve “sorveglianza, ma anche l’integrazione tra medicina umana e animale.

Massimiliano Colognesi, Head of external affairs BAT Italia, ricorda un altro aspetto del concetto One Health: l’impatto del cambiamento climatico sulle imprese. “Sappiamo che sta interessando le regioni dove produciamo tabacco, Veneto e Campania, che stanno avendo un impatto sugli impegni di acquisto annuali che ultimamente non sono stati rispettati da agricoltori per siccità e maltempo. Attraverso la tecnologia cerchiamo di avere un sistema che riduca l’impatto delle operazioni. L’aspettativa è quella di avere un futuro con più consapevolezza sui temi relativi alla sostenibilità”.

Massimo Ciccozzi, Ordinario di epidemiologia e statistica sanitaria Università Campus Bio-Medico, dice che anche nell’ottica di una strategia One Health per affrontare le minacce epidemiologiche “i dati sono la cosa più importante. E non lo abbiamo ancora capito, questa è la disgrazia”.

In altre parole, “le ricerche ci danno informazioni su cosa stiamo affrontando, il brutto è che questi dati non sono messi in comune tra ricercatori. Le stesse Regioni italiane tra di loro non parlano: pensate se l’Iss avesse un database nazionale di ‘tutto’. La scienza è di tutti e deve essere libera. I prossimi quattro anni – auspica Ciccozzi – spero di poter dire che, per quanto riguarda la ricerca, l’industria collabori con il pubblico molto di più di quanto abbia potuto fare finora. Se collaboreranno potremo vincere tantissime battaglie”.

C’è un problema di fondo: la ricerca di base non ha soldi, come sostiene Ciccozzi. Inoltre, “spendiamo soldi per far laureare le persone e poi vanno a lavorare da altri parti”, aggiunge.

Alberto Mantovani, Technical Advisory for One Health WHO Europe, Centro Studi KOS, snocciola le priorità: “Le strategie comuni per future infezioni dal potenziale pandemico, l’antibiotico resistenza, gli inquinanti invasivi come le micro plastiche, le strategie per scambiarci i dati a livello globale”. Ma tra qualche anno, non serve farsi illusioni, ci saranno ancora ostacoli da superare. “Parleremo ancora di tutti i problemi politici e geopolitici che ci impediscono di andare avanti con la necessaria efficienza. E del fatto che non riusciamo a capire che viviamo in una sola casa, magari in stanze diverse. Parleremo di una serie di azioni parziali anche importanti”, dice, ma la strada verso un vero approccio One Health è ancora lunga.

La carne in provetta

Mirco Carloni, Presidente XIII Commissione (Agricoltura) Camera dei Deputati,  ha portato l’esperienza del lavoro fatto in Commissione agricoltura che ha visto l’approvazione del disegno di legge su carne sintetica “che ha generato una forte discussione sull’impatto della carne coltivata sulla salute. Su questo la discussione è stata molto forte fuori dal Parlamento ma era necessaria una legge per impedire la commercializzazione, per un motivo semplice: questi prodotti sarebbero andati in commercio in tempi molto brevi e questo sarebbe stato un rischio. Siamo stati accusati di aver bloccato la ricerca ma è esattamente il contrario. L’unica iniziativa di ricerca l’ha messa insieme la Fao che in un documento ha individuato ben 53 rischi per la salute dalla carne coltivata. A motivare questo disegno di legge è stata senz’altro la tutela della salute”.

Luana Zanella, Vicepresidente XII Commissione (Affari Sociali) Camera dei Deputati, ha detto che sul tema salute “ci sono divisioni politiche che non vanno rimosse: all’interno di questi dibattiti si sviluppano gli orizzonti” per trovare soluzioni, dice Zanella. “Cerchiamo di farlo nella nostra commissione: su Aids abbiamo un progetto di legge condiviso che porteremo avanti. Si riesce a trovare delle convergenze e penso questo sia il contributo più prezioso che si può dare al Paese”.

Il tavolo sull’antimicrobico resistenza durante il Forum One Health

 

Antimicrobico resistenza

Le infezioni resistenti ai farmaci antimicrobici provocano ogni anno oltre 35.000 decessi nelle Nazioni europee e purtroppo circa un terzo di questi decessi avviene in Italia. A ricordarlo è stato qualche giorno fa il ministro della Salute Orazio Schillaci, in occasione della Giornata europea per l’uso consapevole degli antibiotici. Nella settimana mondiale dedicata all’antimicrobico resistenza il tema non poteva non essere affrontato anche durante il Forum Health. Nella tavola moderata da Stefano Alessandro Inglese, health analyst di Fortune Italia, si è evidenziato come gli studi per i nuovi antibiotici si siano contratti. Ci sono solo 77 antibiotici allo studio in questo momento, ha ricordato Inglese.

Matteo Bassetti, Professore Ordinario di Malattie Infettive Università degli Studi di Genova, dice che “se guardiamo indietro a quando ci furono le emergenze di microorganismi resistenti altri Paesi misero in pratica misure di contenimento e ebbero dei risultati. Noi no: abbiamo ancora grossi problemi con i super batteri. Spero e mi auguro che si parta da questo presupposto. In Italia la gestione della politica del farmaco è stata poco incentrata sui clinici. Io mi vergono dei dati del mio Paese. Secondo me i dati del ministro, i dati Ocse, forse sottostimano l’antibiotico resistenza. I morti sono 30mila, secondo uno studio”.

Per Annalisa Campomori, CPR AIFA – Direttrice S.C. Farmacia Ospedaliera Nord, “se c’è un aumento complessivo della resistenza c’è una necessità di ottenere nuovi antibiotici”, ma “la pipeline è insufficiente e l’ha riconosciuto anche l’Oms”. La Commissione europea però ha presentato una possibilità: dei “voucher, che incentivino industria a produrre nuovi antibiotici e prolunghino la tutela della titolarità dell’innovazione. Una possibilità che ha raccolto qualche critica”, spiega Campomori, che ricorda che l’Italia è fra i primi Paesi europei per le terapie geniche.

Francesco Saverio Mennini, President, Health Policy Forum SiHTA e Past President SiHTA, ricorda la necessità di disporre di strumenti che si rinnovano continuamente. “È stato approvato il regolamento Hta a livello europeo: si parla di valorizzare le innovazioni. Abbiamo un ufficio Hta in Aifa, dobbiamo capire se c’è un vantaggio economico per quanto riguarda l’introduzione di nuovi antibiotici: lo strumento c’è, utilizziamolo in maniera appropriata e poi vedremo quale potrebbe essere la disponibilità a pagare del sistema sanitario. Si parla quasi di un miliardo all’anno di costi quando si parla di infezioni correlate all’assistenza. Più il numero dei morti. Un’enorità come costi del sistema economico. È vero che siamo il Paese che ha quasi tutti i farmaci disponibili. Ma il problema è quando: abbiamo un ritardo di 420 giorni in media all’anno, siamo decimi dietro Moldavia e Russia in questo”.

One Health Forum, i segreti dell’innovazione e l’esempio della pandemia

Antibiotici, Aleotti: “Non conviene portarli in commercio”

Lucia Aleotti, Azionista e Membro CDA Menarini, dice che è “inutile girare intorno a un tema che tutti vedono dalla loro sfaccettatura. Oggi non voglio essere politically correct. Il tema è quello dei nuovi antibiotici per il paziente che ha un’infezione resistente e deve essere curato. Si fa un grande mescolio tra Amr e antibiotici”. Però il primo tema “non ha niente a che fare” con i nuovi antibiotici per il paziente che in questo momento – nonostante “l’infermiera si sia lavata le mani”, dice Aleotti facendo un esempio – ha preso un’infezione da patogeno resistente.

Quel paziente, continua, “va curato, come quello malato di cancro, di Hiv. Per tutti questi altri mondi della malattia si è trovata una soluzione che ha consentito alle imprese di continuare a produrre nuovi trattamenti. Non c’è bisogno del sistema dei voucher, è una finzione giuridica per un premio dello sviluppo di un nuovo antibiotico e prolungare la vita di un altro prodotto. Per qualche strano motivo la vita di questi pazienti vale meno del malato di tumore: questo è il valore che viene dato al farmaco per patogeno resistente rispetto ad altri farmaci. Tutti gli altri settori continuano a prosperare dal punto di vista di ricerca. Gli antibiotici no: non esiste nessun appeal di portare un nuovo antibiotico in commercio. Ma quello che il sistema è disposto a pagare non è quello”. Deve essere chiaro, dice Aleotti, “che la commercializzazione dei nuovi antibiotici deve essere appetibile per l’industria: se vogliamo dare il nuovo antibiotico esclusivamente a chi ne ha bisogno parliamo di un numero ristretto, e come tale deve essere trattato. Non si scappa. Nella fase di ricerca, in quella di produzione: realizzare un lotto che ti dura 7 anni invece di andare in produzione continua ha costi abissalmente diversi”.

Questo fa la differenza, dice Aleotti. Quando Menarini è entrata nel settore “gli analisti ci dicevano ‘non fatelo’. Sono loro i veri Hta dell’industria farmaceutica, ti dicono quanto rende il capitale investito in base ai diversi settori. A distanza di sette anni devo dire che avevano ragione. In maniera politicamente scorretta, devo dire che l’Hta non è la soluzione: la soluzione è che si tratti di un mondo interessante per le aziende farmaceutiche”.

Come mettere il paziente al centro: il problema dei territori

Ormai bisogna dire che i pazienti hanno imparato a far sentire la loro voce. Vanno coinvolti, insieme ad associazioni e specialisti, per parlare di ciò che sta loro più a cuore: bisogni insoddisfatti ed equità, anche in un’ottica One health. A proposito di diritti dei pazienti, Cittadinanzattiva ha realizzato una Carta civica della salute globale. Quali sono le sfide maggiori? Francesca Moccia, vicesegretaria generale di Cittadinanzattiva, spiega che la sfida è collegare tutto, “indossare metaforicamente un paio di occhiali attraverso i quali vedere la salute dove prima non la vedevamo. Abbiamo scritto esattamente un anno fa una carta dei diritti dei cittadini sulla salute globale. Diritti da esigere e riconoscere. Il ruolo delle associazioni è presidiare le specificità dei luoghi come le aree interne del Paese, e questo vuol dire occuparsi di accessibilità e servizi. Perché il ruolo del servizio sanitario nazionale è quello di dare possibilità di diagnosi e cura”.

Di fronte a terapie molto innovative che promettono di rivoluzionare la cura di alcune patologie c’è però una domanda che si fanno i pazienti: queste cure saranno adatte a me? Per Annalisa Scopinaro, presidente di Uniamo, è diverso dire di “aver trovato una cura di una condizione piuttosto che un’altra. Si passa attraverso dei passaggi non comprensibili alla cittadinanza. Molte delle terapie oggi in commercio sono molto specifiche: quella sulla Sma, ad esempio, non è per tutti i tipi di Sma, alcuni bambini non accedono perché non è adatta. I giornalisti hanno la responsabilità incredibile della consapevolezza sulle specificità delle terapie, altrimenti si crea la frustrazione dei pazienti dopo che la loro speranza è stata alimentata. L’accesso è un parola omnicomprensiva. Accesso significa anche non doversi spostare di mille km per fare una terapia”.

In ottica One Health e di un possibile patto per inserire questo approccio in tutte le politiche, Ilenia Malavasi, componente della XII Commissione (Affari Sociali) della Camera dei Deputati ha detto che, come la città dei 15 minuti, “anche le cure dovrebbero a essere a portata dei pazienti, a 15 minuti di distanza. Se andiamo a sviluppare la medicina territoriale forse ci riusciamo: difficile non si trovi nessun elemento di accesso primario sul territorio: per questo la rete diventa così importante, aiuta a superare le disuguaglianze. Le farmacie sono molto più capillari di qualsiasi rete ospedaliera. Credo davvero che questa visione possa aiutarci a seguire insieme questa suggestione, ben sapendo di quanto siano importanti diagnosi precoci e screening”.

In che modo l’evoluzione della farmacia, che la sta trasformando da luogo di dispensazione del farmaco a vero e proprio presidio sanitario di prossimità territoriale, intercetta la sfera di intervento dell’approccio One Health? Secondo Roberto Tobia, segretario nazionale Federfarma, la farmacia “può essere utile in una miriade di attività: ricordo la possibilità di effettuare un primo screening sul sangue diagnosticando una malattia sul nascere evitando costi sociali ed economici del progredire della malattia. Senza dimenticare altri ambiti: la prevenzione. Vogliamo portare avanti di primo e secondo livello. Servizi cognitivi che mettano a disposizione dei cittadini consulenze dirette sull’aderenza alla terapia, sul quale il farmacista può avere un ruolo fondamentale. Ricordo che in un’occasione in dieci giorni sono stati diagnosticati 4.000 casi di diabete: moltiplichiamo per tutto l’anno un dato come questo e possiamo comprendere l’obiettivo che ci potremmo prefiggere anche in termini di risparmio. Nell’ambito della telemedicina possiamo ridurre la pressione sugli ospedali e le liste di attesa”.

Tobia ricorda che alcuni cittadini “in alcune aree devono percorrere decine di km per ritirare un farmaco: questo meccanismo distorto, che potrebbe essere migliorato attraverso la distribuzione, credo che questo sia da risolvere per dire che il paziente è davvero al centro”.

Ilaria Ciancaleoni Bartoli è presidente di Omar, e di recente l’Osservatorio Malattie Rare ha voluto riaccendere i riflettori sul tema dello screening neonatale esteso: la legge in realtà c’è. Secondo Ciancaleoni Bartoli “sì, c’è una legge bellissima dal punto di vista del principio, la 167 del 2016, che stabilisce che tutti i neonati debbano essere avviati a un percorso per lo screening neonatale per cercare un tot di patologie e da lì, in caso di positività, il percorso porta alla conferma e alla messa in sicurezza. Non è detto che il bimbo debba avere per forza la terapia. Ma possono essere date informazioni sugli interventi che evitano l’ansia dei genitori che non sanno cosa sta accadendo”.

Il premio One Health

Il Premio One Health di Fortune Italia, consegnato in chiusura di Forum, nasce dall’evoluzione del Premio “Startup Award in Healthcare e Life science” secondo l’approccio ONE HEALTH che integra l’attenzione per la salute in un sistema circolare sostenibile. L’advisory board del premio è composto da Marta Bertolaso, Sandro Bosso, Mara Campitiello, Domenico Otranto, Bernardino Quattrociocchi, Marcella Trombetta.

Tra le startup candidate, 15 circa, sono state 3 le finaliste. A vincere è Naicons: con una banca dati di molecole la startup cerca di ridurre la sperimentazione animale tagliando anche i tempi di design e di arrivo in produzione. Secondo l’advisory board, anche se esistono altre banche dati commerciali (ATCC), non ce ne sono così variegate e complete. Oltre a Naicons tra i finalisti anche Ingeno, startup che si occupa di wellness con attenzione alla sostenibilità, e Paperbox health, startup che ha creato un videogioco molto utile per la diagnosi del DSA.

Anche l’atrofia muscolare spinale nello screening neonatale

A premiare le startup Mara Campitiello, Capo Segreteria Tecnica del ministro della Salute, che ha ricordato come “l’approccio OneHealth è stato sposato dal ministero: ora esiste un dipartimento dedicato alla One Health”.

Il dipartimento è stato “voluto dal ministro, che è un medico che si è voluto affiancare di medici come me e il mio predecessore, oggi capo di Gabinetto. Fino ad oggi il paziente non è stato messo al centro quanto oggi. Utilizzare l’esperienza sul campo per migliorare la burocrazia serve ad aiutare a realizzare progetti per far stare bene i pazienti. Ieri abbiamo fatto una riunione con due deputate preoccupate per screening per l’atrofia muscolare spinale. Si chiedeva come fosse possibile che quest screening non fosse entrato nello screening neonatale: ebbene, posso anticipare che probabilmente entro dicembre questo si sbloccherà grazie al via libera che abbiamo avuto dal Mef”, ha chiosato Campitiello. 

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