Covid in Italia: contagi dimezzati e ‘sindrome cinese’

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Sono sempre migliori le notizie sul fronte Covid in Italia. Stando all’ultimo monitoraggio diffuso da ministero della Salute e Istituto superiore di sanità, nella settimana dall’11 al 17 gennaio i nuovi contagi sono più che dimezzati, scendendo per la prima volta da settimane sotto quota 10mila. Si riducono (finalmente) anche morti e ricoveri, mentre il ministero della Salute ha predisposto un piano ad hoc per far fronte a future pandemie.

Intanto da Oltreoceano tengono banco le rivelazioni del ‘Wall Street Journal’ su quella che potremmo ribattezzare la ‘sindrome cinese’: una diffidenza nei confronti della trasparenza della Cina su Sars-Cov-2 che riporta indietro gli orologi all’inizio della pandemia. Ricercatori del colosso asiatico, infatti, avrebbero mappato il virus di Covid a fine dicembre 2019, quindici giorni prima che il Paese fornisse al mondo la seguenza di quello che all’epoca veniva definito un ‘virus misterioso’. Ma vediamo intanto cosa sta accadendo in Italia.

Covid in Italia

Nell’ultima settimana sono stati 9.675 i nuovi casi positivi, con una variazione di -53,8% rispetto alla settimana precedente (20.945). Abbiamo avuto poi 258 deceduti, -27,3% rispetto ai 355 di sette giorni prima (sempre troppi, come non ci stancheremo di scrivere) e un tasso di positività del 5,3% con una variazione di -3,9% rispetto alla settimana precedente (9,2%).

“Si consolida ulteriormente la decrescita del contagio da Sars-CoV-2″, commenta con sollievo il direttore generale della Prevenzione Sanitaria del ministero della Salute, Francesco Vaia, convinto che l’impegno di tutto il sistema e “l’attenzione che i cittadini hanno posto e stanno ponendo nell’affrontarlo con gli strumenti che abbiamo imparato a conoscere e, quindi, ad usare, hanno determinato questo risultato”.

Gli ospedali si svuotano

Il monitoraggio conferma le buone notizie dagli ospedali preannunciate dal report Fiaso. Il tasso di occupazione in area medica al 17 gennaio è pari al 6% (3723 ricoverati), rispetto all’8,2% (5.131 ricoverati) del 10 gennaio, mente nelle terapie intesive siamo all’1,9% (167 ricoverati), contro il 2,4% (213 ricoverati).

“Ministero e istituti collegati continuano il proprio lavoro di monitoraggio di tutte le patologie a carattere respiratorio tipiche della stagione”, dice Vaia. Mentre prende forma (con qualche polemica) il nuovo piano pandemico italiano.

Il Piano

Ricordiamo tutti le pesanti critiche per il mancato aggiornamento del piano pandemico. Ora, nell’inverno del mix di virus, il ministero della Salute fa sapere di aver predisposto nei tempi previsti una bozza di “Piano strategico operativo per la preparazione e risposta a una pandemia da patogeni a trasmissione respiratoria a maggiore potenziale pandemico”. Il primo documento di questo tipo allargato a tutti i patogeni respiratori. In precedenza, infatti, i piani pandemici erano ‘disegnati’ sulla base del rischio di una pandemia influenzale.

La bozza è al vaglio della competente Conferenza Permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province Autonome di Trento e Bolzano e, all’eventuale esito positivo, verrà inviata alla Gazzetta Ufficiale per la pubblicazione. Il documento, anticipa il ministero, contiene ogni misura che potrebbe rendersi necessaria per proteggere i cittadini di fronte ad un’emergenza pandemica e ne prevede una modulazione, anche temporale, in base all’andamento epidemiologico, all’efficacia, e alle effettive necessità.

Le lezioni apprese dall’esperienza della pandemia da Covid-19, hanno portato nel Piano Pandemico 2024-2028 “a sottolineare con forza il ruolo cruciale dei vaccini come strumento di prevenzione, e a riconoscere l’importanza dei Dipartimenti di Prevenzione – commenta Roberta Siliquini, presidente della Società Italiana d’Igiene (SItI) – Il Tavolo Tecnico” istituito dal ministero della Salute “che ho l’onore di presiedere, dovrà definire gli standard di personale sanitario facente capo a tali Dipartimenti”, centrali “nelle azioni di preparazione e risposta alle emergenze infettive”.

La ‘sindrome cinese’

Per rispondere in modo mirato a una pandemia, è cruciale intercettare per tempo la minaccia. E qui torniamo alla questione cinese: le autorità del colosso asiatico non sono mai state particolarmente trasparenti sul virus di Covid-19. Nè sull’origine (che a tutt’oggi nonostante le indagini dell’Oms resta misteriosa), nè sui tempi della prima comparsa del patogeno.

Ebbene, secondo il Wsj – che ha avuto accesso a documenti governativi americani – un ricercatore cinese a Pechino avrebbe caricato una sequenza quasi completa della struttura del virus di Covid-19 in un database gestito dal governo americano il 28 dicembre 2019, mentre la Cina condivise la sequenza del virus con l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) solo l’11 gennaio 2020.

Un ritardo che si somma alle altre dimostrazioni di scarsa trasparenza dalla Cina. Ma che effetto può aver avuto sulla concreta risposta dei vari Paesi alla pandemia? Fortune Italia lo ha chiesto a Massimo Ciccozzi, responsabile dell’unità di Statistica medica ed Epidemiologia del Campus Bio-Medico di Roma, che parla di “ritardone cinese”.

Altro che quindici giorni

“Fare una sequenza non è semplice: richiede almeno due settimane – calcola Ciccozzi – diunque siamo a quattro settimane. Non contiamo poi il tempo necessario per isolare il virus? Diciamo che occorre almeno un mese e mezzo di prove di laboratorio: così arriviamo facilmente a due mesi e mezzo. Pensiamo poi ai voli diretti tra Milano e Wuhan: quante persone contagiate sono arrivate nel frattempo?”.

“Non dimentichiamo che a fine dicembre i cinesi parlavano ancora di un virus misterioso, mentre evidentemente avevano in mano sequenze che consentivano di sapere di cosa si stava parlando. Ecco, non si tratta di un banale ritardo di due settimane, ma della possibilità di fare una prevenzione diversa, approvvigionandoci magari di strumenti preziosi come le mascherine. Invece abbiamo dovuto dare una risposta di corsa e ‘alla cieca’. Quanti contagi e quanti morti si sarebbero potuti evitare, e quanto denaro avremmo pututo spendere meglio?”, si chiede Ciccozzi.

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