Memoria, la simpatia aiuta a fissare i ricordi

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Il cervello umano? Alla fine, in molti casi, tende ad imparare e soprattutto a ricordare in base alle simpatie. Può sembrare una battuta. Ma in realtà le ricerche psicologiche dicono che, alla fine, la memoria si orienta anche in base alla fonte del messaggio e non solo al contenuto di quanto viene proposto.

Il meccanismo, sia chiaro, viene considerato globalmente positivo, perché consente di fare inferenze su situazioni o contenuti di dui non possiamo avere un’esperienza diretta. Ma purtroppo, a volte, questa sorta di “scelta emotiva” e di valore che diamo all’emittente del messaggio può diventare fattore di polarizzazione nei pensieri. E quindi influire su ciò che reputiamo importante al punto da doverlo “conservare”, scartando invece altre fonti informative.

Insomma, tendiamo a ricordare e ad aggiornare le nostre informazioni non solo sulla scorta di quanto sarebbe realmente importante, ma anche sulla base di chi propone i messaggi. Questo varrebbe a prescindere dal mezzo utilizzato per sensibilizzarci e dal tema in questione. E forse anche per questo motivo il “testimonial”, sociale o politico, con i messaggi che propone, può risultare l’emittente di cui abbiamo bisogno, con evidente conservazione dei ricordi che più offrono potenziale soddisfazione in questo senso.

Risultato? Più si va avanti con questo approccio di conservazione delle esperienze e, quindi, di integrazione dei ricordi, tanto maggiori saranno le convinzioni che si formano e si irrobustiscono nel tempo.

In questo senso, quindi, l’esposizione ai messaggi non diventa altro che una sorta di costante stimolo alla polarizzazione. In tutto. Sul lavoro, sulle scelte sociali, nella visione politica del singolo. Quindi, in qualche modo, tendiamo a considerare importante più l’emittente del messaggio o il gruppo che propina una realtà in cui crediamo, piuttosto che il contenuto. E questo non solo ci inserisce in una “bolla” (virtuale o meno non conta) ma rischia di farci perdere elementi importanti nella costruzione del percorso di conoscenza.

A dirci che alla fine ricordiamo ciò che desideriamo ed è più in linea con le nostre visioni soprattutto in base a scelte preordinate, magari tralasciando di mantenere pronto nella memoria ciò che sarebbe più utile per noi e per la conoscenza, è una curiosa ricerca degli esperti dell’Università di Lund. Lo studio è firmato da Marius Boeltzig, Mikael Johansson e Inês Bramão ed è apparso su Communications Psychology.

Alcuni esperimenti mirati, come ricordano gli esperti in una nota dell’ateneo, sono stati realizzati proprio per capire cosa accade. Ai partecipanti si è proposto di ricordare e collegare diversi oggetti. La capacità di ricordare ed integrare le informazioni, anche in test così semplici, ha risentito comunque dell’affinità con chi presentava gli oggetti.

In caso di “gradevolezza” dell’emittente, collegare le informazioni era più semplice rispetto a quando le informazioni provenivano da qualcuno che non piaceva. Tutto questo, traslato nella vita reale, diventa un insegnamento psicologico per chi ha come obiettivo essere “accettato” dalle persone, come avviene per chi fa politica.

La ricerca, a detta degli esperti, da un lato conferma come la fonte influenzi la polarizzazione e e l’apprendimento delle informazioni, ma soprattutto identifica meccanismi quasi innati nel processo di memorizzazione e conoscenza il funzionamento della memoria. Siamo infatti più propensi a creare nuove connessioni e ad aggiornare la conoscenza dalle informazioni quando ce le presentano persone, gruppi o entità che riconosciamo come gradevoli per noi.

Così anche se un’informazione non è propriamente utile o comunque non impatta sulla nostra vita, magari tendiamo comunque a mantenerla in memoria semplicemente perché giunge da chi ci piace. Tendiamo a creare connessioni e a fare inferenze che non nascono dalla ragione, ma piuttosto dal sentimento. E questo, alla fine, potrebbe pesare sulle nostre valutazioni e su ciò che forma il nostro bagaglio di conoscenze nel tempo.

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