Covid in Italia, gli ultimi dati e il Long Covid dei giovanissimi

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Numeri al lumicino per Covid-19 in Italia. A dircelo sono i dati del monitoraggio diffuso da Istituto superiore di sanità e ministero della Salute, che dal 25 al 31 marzo mostrano un’incidenza pari a 0,8 casi per 100.000 abitanti, in lieve diminuzione rispetto alla settimana precedente.

Il dato più elevato, su questo fronte, arriva dal Veneto. Quanto ai numeri, tra il 28 marzo e il 3 aprile si registrano appena 505 nuovi casi positivi, -16,3% rispetto alla settimana precedente (603). Insomma, il virus non fa più paura.

A testimoniarlo anche la nuova circolare con cui il direttore della Prevenzione Francesco Vaia e quello della Programmazione Americo Cicchetti hanno modificato la cadenza delle riunioni della Cabina di regia per il monitoraggio dell’epidemia da Sars-Cov-2 da quindicinale a ogni 4 settimane. L’analisi dei dati e la produzione dei report, però, continueranno ad avere cadenza settimanale.

Nel frattempo la ricerca non si è esaurita. Ancora una volta diamo infatti notizia di nuove scoperte che aiutano a far luce sul ‘mistero Long Covid’, sindrome che continua a colpire un certo numero di persone guarite. Uno studio condotto da ricercatori della Sapienza, pubblicato sull”European Journal of Immunology’, ha messo in luce i meccanismi alla base della persistenza dei sintomi nei bambini. In particolare, lo studio ha evidenziato un’alterazione dei livelli trascrizionali degli interferoni di tipo I in bambini e adolescenti con Long Covid, a partire da 3-6 mesi dalla guarigione.

I numeri in Italia

Ma vediamo prima i numeri nel nostro Paese. Nella settimana in esame ci sono stati 21 deceduti, con una variazione di +5% rispetto alla precedente (20), mentre l’indice di trasmissibilità (Rt) calcolato con dati aggiornati al 3 aprile è pari a 0,78 (0,63–0,94), in lieve aumento rispetto alla settimana precedente.

La percentuale di reinfezioni è del 40% circa, in discesa rispetto alla settimana precedente, mentre sul fronte degli ospedali l’occupazione dei posti letto Covid in area medica al 3 aprile è pari all‘1,2% (732 ricoverati), stabile dunque. Scendono ancora i pazienti positivi ricoverati in terapia intensiva: siamo appena allo 0,2% (22 ricoverati in tutta Italia, contro lo 0,3% al 27 marzo). E sul fronte varianti, JN.1 si conferma predominante.

Il mistero Long Covid

Se ormai abbiamo imparato molte cose su Sars-Cov-2, la comprensione dei meccanismi alla base del Long Covid resta lacunosa. Molti pazienti descrivono ancora oggi effetti a lungo termine dell’infezione da nuovo coronavirus: affaticamento, cefalea, dispnea, anosmi, brain fog e disturbi gastro-intestinali.

Le alterazioni nella produzione degli interferoni di tipo I a livello mucosale e sistemico nella fase precoce dell’infezione da Sars-CoV-2 erano già state associate a forme di Covid grave negli adulti. Ed era anche stato evidenziato che una pre-attivazione dell’immunità innata può determinare una risposta più rapida ed efficace al virus nella popolazione pediatrica. Ma il fatto che un numero crescente di bambini e adolescenti continui a manifestare sintomi anche dopo la guarigione ha portato i ricercatori a concentrarsi proprio sugli interferoni.

Lo studio

La nuova ricerca, frutto della collaborazione tra Raphael Viscidi della Johns Hopkins University di Baltimora e i gruppi di ricerca coordinati da Guido Antonelli del Dipartimento di Medicina molecolare e Fabio Midulla del Dipartimento di Pediatria e neuropsichiatria infantile della Sapienza, è stato valutato il coinvolgimento del sistema degli interferoni – molecole prodotte naturalmente dalle cellule in risposta a infezioni virali – nello sviluppo e nella persistenza dei sintomi in questione nei bambini.

Ebbene, nel lavoro sono state osservate differenze nell’espressione degli interferoni di tipo I strettamente associate all’età: mentre negli adolescenti (12-17 anni) è stato riscontrato un aumento dei livelli trascrizionali I (particolarmente pronunciato in chi manifesta sintomi neurologici), nei bambini (6-11 anni) ne è stata osservata una diminuzione. Un fenomeno registrato sia in chi dopo l’infezione non ha sviluppato sintomi, sia nei soggetti di controllo sani.

Ma che vuol dire? Scenari immunologici correlati agli interferoni, distinti e opposti, “potrebbero influenzare in modo selettivo l’evolversi del Long Covid nelle diverse fasce d’età”, suggerisce Matteo Fracella del Dipartimento di Medicina molecolare della Sapienza.

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