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Social freezing: non sia un ammortizzatore sociale. L’analisi di Guglielmino (Siru)

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La storia del social freezing ha radici antiche. E – a scapito del nome con cui siamo abituati a chiamare oggi questa pratica – italiane. “Lazzaro Spallanzani è stato il ‘papà’ della crioconservazione riproduttiva, osservando gli effetti della neve sugli spermatozoi animali”, ha ricordato a Fortune Italia Antonino Guglielmino, socio fondatore della Società italiana di riproduzione umana (Siru), all’interno del primo degli approfondimenti che dedicheremo a questo tema.

Nel 2020, in Italia, i bambini nati da procreazione medicalmente assistita (Pma) sono stati 11.305. E sempre più donne nel nostro Paese scelgono di congelare i propri ovuli.

Mamme col ‘social freezing’ in aumento anche in Italia

“Si parla proprio di donne”, precisa Guglielmino, che spiega come a far richiesta di questa pratica non siano (come nel caso della fecondazione assistita) coppie. Il motivo fondamentale per cui una donna decide di ricorrere al social freezing è che ha raggiunto una certa età e non ha ancora trovato un partner con cui costruire, eventualmente, una famiglia. “Oggi ci si concentra di più sulla carriera e conciliare vita personale e professionale non è sempre facile”, continua il professore.

Se soprattutto negli ultimi tempi il trend del social freezing è in crescita, è perché oltre a essersi modificate le esigenze della società, è aumentata la consapevolezza sul funzionamento del sistema riproduttivo. “Prima si riteneva che una donna potesse procreare anche oltre i 45 anni, fino alla fine delle mestruazioni. Di fatto è così, ma le possibilità rispetto alle capacità di riproduzione di cellule giovani sono minori”, sottolinea Guglielmino.

Inoltre, negli anni i sistemi di congelamento sono migliorati. “In passato si utilizzava un procedimento chiamato ‘lento’. L’ovocita è una cellula ricchissima di acqua. Attraverso il procedimento lento, l’acqua creava dei cristalli di ghiaccio che poi portavano a conseguenze all’interno dell’ovocita stesso. La vitrificazione moderna, al contrario, è velocissima. Il vetro è una struttura amorfa, non organizzata. Non dà la possibilità all’acqua nella cellula di cristallizzarsi e consente di fermare l’attività biologica degli ovociti mediante l’esposizione a bassissime temperature (-196°C)”.

Social freezing: va bene per tutte?

Così come le norme che prevedono la donazione di gameti femminili fissano un limite di età a 35 anni, non sarebbe opportuno scegliere di congelare i propri ovuli oltre.

“Dopo quest’età diventa difficile avere una restituzione adeguata e il numero di ovociti messi a disposizione dalle ovaie diventa più basso. La donna che decide di fare il congelamento deve essere prima valutata e ci sono alcuni strumenti per poter identificare quale sarà la risposta alla stimolazione ovarica. Uno per tutti l’AMH, l’esame per l’ormone antimulleriano, per valutare la fertilità e la funzionalità ovarica”, precisa Guglielmino.

I costi e la mancanza di programmi di finanziamento pubblico

Attualmente, in Italia, per sottoporsi a crioconservazione riproduttiva si spendono tra i 4.000 e i 5.000 euro. Questi costi includono principalmente i farmaci. “Bisogna acquistare gonadotropine, ormoni prodotti dall’adenoipofisi che servono a stimolare l’ovaio e a produrre più follicoli. All’interno di ogni follicolo c’è l’ovocita, e gli ovociti vengono prelevati con un piccolo intervento in sedazione profonda”, spiega Guglielmino.

Non esistono programmi o finanziamenti pubblici che supportino il social freezing ed è quindi un costo a carico individuale. “Lo Stato dovrebbe investire maggiormente in pratiche di questo tipo e dare fondi adeguati”, è il pensiero del professore. Che poi aggiunge: “La procreazione assistita è da pochissimo entrata a far parte dei Livelli essenziali di assistenza (Lea)”.

Un ammortizzatore sociale?

Nel 2023, nel nostro Paese ci sono state 379mila nascite: un dato allarmante se consideriamo che appena 15 anni fa, nel 2008, erano più di 577.000. Anche per questa ragione c’è chi pensa (o spera) che a poco a poco il social freezing possa diventare un ammortizzatore sociale.

“Non sono d’accordo”, conclude Guglielmino. “Occorre incentivare le nascite in modo naturale, se possibile. Altrimenti ci ritroveremo comunque con una popolazione di genitori anziani”.

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