Mal di schiena ‘falso’ per 40 mila giovani

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Otto su dieci cominciano a star male prima dei trent’anni, con dolore e rigidità al fondo schiena. Una specie di mal di schiena che colpisce 40 mila giovani, non passa e, scambiato per una semplice lombalgia, viene curato per mesi o anni soltanto con antinfiammatori non steroidei, antalgici, e/o terapie fisiche.

Per arrivare alla diagnosi di spondiloartrite assiale, malattia infiammatoria cronica articolare che in Italia colpisce oltre 200.000 pazienti, passano in media 7 anni dall’inizio dei sintomi. Anni in cui la schiena diventa sempre meno flessibile, dalla colonna cervicale fino a quella lombo-sacrale, mentre anche altre articolazioni come anca, spalla, mani e piedi possono essere interessate dalla infiammazione, e quindi diventare dolenti, con perdita progressiva della mobilità e compromissione della qualità di vita.

Per i pazienti è in arrivo una nuova arma terapeutica, ixekizumab, un antagonista della IL-17A in grado di fermare la progressione radiologica della malattia (sviluppo di sindesmofiti, cioè ponti ossei tra due vertebre, con fusione della colonna vertebrale), oltre che di mantenere l’efficacia nel lungo termine a 2 anni, togliendo persistentemente il dolore infiammatorio alla schiena, e consentendo un continuativo miglioramento della qualità di vita.

I dati stati presentati al congresso Eular 2021. Il farmaco, impiegato in pazienti che non rispondono o non possono essere trattati con le cure tradizionali, aveva già ottenuto ottimi risultati dopo le prime 16 settimane di somministrazione e in misura ancora maggiore dopo un anno, a dimostrazione che l’effetto positivo sulla malattia viene mantenuto nel lungo periodo.

Con ixekizumab a 16 settimane fino al 50% circa dei pazienti con spondilite anchilosante mai trattati con farmaci antireumatici modificanti la malattia, fino al 25% circa di quelli già trattati con Tnf, e fino al 35% dei pazienti con la forma non radiografica, raggiunge un miglioramento di almeno il 40% dei segni e dei sintomi della malattia. Secondo l’ultimo studio la terapia a lungo termine, protratta complessivamente fino a 2 anni, consente inoltre in quasi il 90% dei casi di bloccare o rallentare al massimo la progressione della malattia valutata attraverso radiografia.

Continua nel lungo periodo anche l’effetto positivo sul dolore e l’attività di malattia, che resta bassa nel 47% dei pazienti trattati ed è in parziale remissione in un altro 20% dei casi, mentre il 56% dei pazienti ha un miglioramento dei sintomi di almeno il 40%.

“La lombalgia infiammatoria è il primo sintomo della spondiloartrite assiale nella maggior parte dei pazienti (circa 3/4). Purtroppo, in genere viene scambiata per un ‘semplice’ mal di schiena e la diagnosi arriva tardi, spesso quando già c’è una compromissione consistente della funzionalità con fusione della colonna vertebrale che diventa rigida e non flessibile, acquisendo l’aspetto a canna di bambù: non di rado la terapia viene iniziata in fasi già avanzate di malattia – spiega Carlo Salvarani, direttore della Struttura Complessa di Reumatologia del Policlinico di Modena – I dati presentati sulla nuova indicazione di questo farmaco, peraltro già ampiamente utilizzato per il trattamento di altre patologie infiammatorie croniche e conosciuto per il buon profilo di sicurezza, sono un’ottima notizia per questi pazienti”.

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