Sanità italiana: lo Stato spende poco. E i cittadini fanno da soli

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Gli italiani spendono di tasca propria più degli altri Paesi europei per curarsi. Se da una parte lo Stato, rispetto ai vicini di casa, è quello che spende meno per la sanità, dall’altra la quota ‘out of pocket’ per le cure – ovvero i soldi che i cittadini sborsano di tasca propria – è molto più elevata rispetto alla media europea. Due evidenze che potrebbero mettere in discussione l’efficacia dell’attuale organizzazione del sistema sanitario, quelle rilevate nel rapporto ‘State of health in the Eu’ della Commissione europea e dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Oecd).

 

La spesa out of pocket per curarsi è pari al 23,5% della spesa sanitaria totale contro il 16% degli altri Stati membri. Nel 2017 , emerge dal report, l’Italia ha destinato alla sanità l’8,8% del Pil, ovvero una percentuale inferiore alla media dell’Unione Europea, che è del 9,8%. In compenso, in seguito alla crisi economica, la quota dei pagamenti a carico dei pazienti nella spesa sanitaria nell’ultimo decennio è gradualmente aumentata, passando dal 21% del 2009 al 23,5% del 2017, cifra del 7,5% superiore alla media dell’Ue.

 

Il 40% di quello che i cittadini italiani sborsano di tasca propria è destinato alle visite mediche e agli esami diagnostici fatti in privato, e quasi la metà di questa voce di spesa riguarda in particolare la cura dei denti. I farmaci rappresentano invece circa il 30% e il restante 30% è dovuto per lo più al prezzo dei ticket per le visite specialistiche e gli esami con prescrizione del medico di famiglia e alla differenza di prezzo tra il farmaco ‘di marca’ acquistato in farmacia e quello del prodotto alternativo equivalente meno costoso.

 

Un altro ‘quasi’ primato tutto italiano, questa volta positivo, è quello della longevità: secondi solo alla Spagna, è scritto nel report, le aspettative di vita degli italiani sono tra le più elevate in Europa, con una speranza di vita alla nascita di 83 anni, 2 anni in più della media Ue. Un buon risultato ma migliorabile, visto che circa un terzo dei decessi avvenuti nel nostro Paese, percentuale di gran lunga inferiore alla media dell’Ue, è legato fattori di rischio evitabili: alimentazione, tabacco, alcool e sedentarietà.

 

Il rapporto scatta una fotografia dello Stato di salute degli italiani e del nostro sistema sanitario e sottolinea come in Italia il tabacco continui a rappresentare uno dei principali problemi di salute pubblica, con il 25% degli uomini che fuma quotidianamente. L’obesità tra gli adulti ha registrato un aumento negli ultimi 15 anni, passando dal 9% del 2003 all’11% del 2017. Il consumo di alcolici è diminuito di circa il 20% dal 2000, ed è attualmente tra i più bassi dell’Ue, ma un terzo degli adolescenti italiani non rinuncia al “binge drinking”.

 

L’Italia, inoltre, ricorda il report, registra il maggior numero di decessi per infezioni resistenti agli antibiotici nell’Ue, con un tasso di mortalità stimato di 18,2 abitanti su 100.000. Tra i problemi del sistema sanitario, “la digitalizzazione che procede a ritmi diversi a seconda delle regioni”. A dimostrarlo è il fatto che nel 2019 in 7 regioni nessun medico si è mai avvalso delle cartelle cliniche elettroniche, mentre in 8 regioni le hanno utilizzate oltre l’80% dei medici.

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