Sulla salute scelte importanti ma il difficile è ora

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Ce la faremo? E’ una domanda che ci stiamo ponendo tutti da mesi. Da quando abbiamo realizzato che l’arrivo del covid 19 avrebbe cambiato, nostro malgrado, le nostre vite.

 

Non sappiamo quello che ci aspetta, lo stiamo scoprendo giorno dopo giorno, e ci diciamo che in qualche modo dobbiamo essere preparati perché stiamo camminando su un terreno assolutamente inesplorato che mette a dura prova il nostro coraggio, le nostre speranze, le nostre paure, i progetti di vita sognati o coltivati in anni di sacrifici.

 

Tra tanti dubbi qualche certezza inizia ad emergere, neanche tanto faticosamente, ed è legata al fatto che abbiamo una modalità di funzionamento dell’apparato istituzionale del nostro paese che non è all’altezza delle enormi sfide che come singoli e come comunità abbiamo davanti a noi, non solo nei prossimi mesi ma nei prossimi anni.

 

Senza un intervento forte, immediato, strutturale la risposta alla domanda iniziale è semplicemente “no, non ce la potremo fare”. Forse l’esempio più clamoroso di questa inadeguatezza è rappresentato dai provvedimenti sulla mantenimento della chiusura delle attività commerciali/produttive decisi dal governo nelle scorse settimane, sulla conseguente decisione della presidente della regione Calabria in contrasto con il governo di anticipare l’apertura e sull’annuncio a poche ore di distanza dei sindaci di molti comuni calabresi che dichiarano di voler emettere ordinanze per disapplicare le decisioni della regione.

 

Una situazione a dir poco da incubo che lascia i cittadini calabresi con il “cerino in mano”, totalmente in balia delle disfunzionalità di un sistema “fai da te” dove ognuno decide come gli pare anche in un contesto dovrebbe essere chiaro che in una situazione di emergenza c’è chi governa e chi controlla.

 

E’ capitato molte volte in queste settimane di assistere a casi simili, a riunioni notturne per trovare un accordo tra governo e regioni, alla scomoda percezione come cittadini di trovarsi in una condizione di essere “sospesi”, a conflitti figli di una architettura istituzionale incompleta e che richiede una opera di “manutenzione straordinaria urgente”.

 

Una opera che completi il titolo V chiarendo poteri e responsabilità delle regioni, un sistema di controllo efficace e trasparente del governo che si attivi in condizioni ordinarie quando le regioni non riescono a far fronte ai propri impegni e che in condizioni di emergenza garantisca una catena di comando lineare e “responsabile”.

 

Quello alla “funzionalità di sistema” non è una esigenza di parte ma di interesse generale perché non c’è solo la necessità di decidere ma anche la possibilità di poter rendere conto in modo trasparente delle decisioni.

 

Gli scaricabarile sulle responsabilità infatti già in condizioni ordinarie sono un enorme spreco di risorse pubbliche, e tra queste metto la fiducia è che un bene intangibile ma che in fin dei conti è il motore di ogni democrazia, ma in condizioni di emergenza diventano un problema ingovernabile.

 

Queste riflessioni mi permettono di introdurre alcuni commenti sul DL di questi giorni, che riguardano in particolare gli investimenti sulla salute.

 

Sono state fatte oggettivamente scelte importanti con investimenti di oltre 3 miliardi di euro su strutture covid, sull’assistenza domiciliare, con l’aumento degli organici del personale sanitario con un piano di assunzioni importante, con il rafforzamento della integrazione tra ospedale e territorio, con l’uso della telemedicina, con finalmente l’accelerazione sul fascicolo sanitario elettronico, con la previsionedell’uso dei dati sanitari delle regioni per far si che il Ministero della Salute possa arrivare ad una ripartizione del fondo sanitario nazionale basato sui bisogni di salute delle singole popolazioni che vivono i nostri territori.

 

Tutte scelte importanti e condivisibili, che erano in alcuni casi attese da molti anni, che ci fanno fare dei passi nella giusta direzione se sono al servizio di un disegno, di una “idea di paese”che possibilmente pensi ai prossimi dieci anni e non ai prossimi sei mesi.

 

Cosa bisogna fare adesso? Ora inizia la parte più difficile che, a legislazione vigente e senza quell’opera di riassetto istituzionale necessaria ma che richiede tempi non brevissimi, ha bisogno di una grande assunzione di responsabilità collettiva e che credo possa essere soggetta a tre variabili.

 

La prima è la variabile istituzionale. Con un modello come quello che abbiamo molto frammentato dove ogni regione opera autonomamente e non vi è un bilanciamento dei poteri tra Stato e regioni, che banalmente dovrebbe avere come parametro il fatto che deve essere garantito ad ogni cittadino il diritto di avere accesso in tempi ragionevoli ai Livelli Essenziali di Assistenza, il rischio di impantanarsi in discussioni su come ripartire le risorse è forte.

 

La seconda è la variabile temporale. In parte legata alla variabile precedente. Proprio perché queste scelte erano molto attese bisognerà essere veloci nei processi di implementazione, partendo dalla adozione di tutti i provvedimenti regolamentari necessari per codificare nuove prestazioni, e poi i concorsi, le circolari applicative ed interpretative. Lo Stato può e deve dare, per la parte di sua competenza, una prova di efficienza per poter chiedere conto alle Regioni delle azioni che dovranno a loro volta porre in essere.

 

La terza la chiamerei la variabile civica. Questa può essere una straordinaria opportunità di mobilitazione civica, delle comunità, per disegnare attraverso percorsi partecipativi i servizi socio/sanitari che si adattano ai bisogni di quegli specifici territori incrociando ad esempio il lavoro fatto in questi anni dal Dipartimento per la Coesione e dalla Strategia Nazionale delle Aree Interne, partendo dal presupposto che il valore della sussidiarietà in un paese normale non è “redistribuire i poteri e le poltrone” tra enti di vario livello ma “valorizzare le specificità” in un quadro di esigibilità dei diritti chiaro e trasparente. Se a questo aggiungiamo l’opportunità di fare un lavoro di “rendicontazione partecipata” delle tante risorse a disposizione abbiamo ed avremmo l’occasione per rinsaldare quel rapporto di fiducia tra cittadini ed istituzioni che è l’architrave di ogni “paese normale” di cui tanti si lamentano ma su cui pochi si sono attivati.

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