Le opportunità e le sfide delle nuove terapie avanzate

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Negli ultimi decenni, gli sviluppi conseguiti dalla biologia molecolare e cellulare e i progressi raggiunti nello studio del DNA hanno radicalmente trasformato l’ambito biomedico nell’affrontare la cura di diverse patologie baste sul genoma. In particolare, negli ultimi anni si sono affermate nuove terapie geniche e cellulari (cosiddette terapie avanzate) che hanno affrontato in modo molto promettente, e in parte anche risolto, patologie considerate fino a pochi anni fa non trattabili come tumori ematologici, malattie rare ereditarie della retina, immunodeficienza di origine genetica (ADA-SCID), atrofia muscolare spinale (SMA1), β-talassemia dipendente da trasfusione.

Si prevede un aumento notevole delle terapie avanzate nel prossimo decennio. Entro il 2030 potrebbero essere lanciate tra 60 ed 80 nuove terapie geniche e cellulari a livello globale, che potrebbero riguardare complessivamente circa 350.000 pazienti e 50.000 pazienti ogni anno.

 

Le terapie avanzate sono fortemente innovative sotto il profilo tecnologico e sotto il profilo del valore clinico e possono essere “curative” o “trasformative”, ossia in grado di modificare la storia naturale della patologia di un paziente; sono “one shot” ossia vengono somministrate in una unica soluzione presso centri altamente specializzati e sono inevitabilmente ad alto costo.

 

Nel brevissimo termine, nel quadro normativo e regolatorio esistente, queste terapie sembrano destinate ad essere limitate solo a particolari sottogruppi alquanto ristretti di pazienti, ma sono comunque significativi sotto diversi punti di vista (sanitario, economico, sociale). Nei prossimi anni, invece, è prevedibile che possa emergere una domanda crescente per queste terapie per via dell’introduzione di nuove soluzioni o per l’estensione delle indicazioni delle terapie già approvate. Questa è una buona notizia per la salute dei pazienti, in termini di qualità della vita e speranza di vita, ma porrà problemi di scelta e di allocazione di risorse molto delicati: sia sul piano dell’accesso dei pazienti; sia per le strutture sanitarie pubbliche, nella scelta dei soggetti da trattare, con evidenti implicazioni etiche; sia, soprattutto, per le implicazioni per i sistemi sanitari e il vincolo di bilancio pubblico dei diversi paesi, sia infine sul piano della individuazione delle risorse con cui finanziarie queste terapie, aspetto che deve essere affrontato oggi per non arrivare impreparati.

 

Il volume delle risorse necessarie per accedere a queste terapie e le modalità di finanziamento sono in prospettiva, gli snodi decisivi, perché determineranno la minore o maggiore disponibilità dei sistemi sanitari a sostenerne il costo. Questa situazione comporterebbe inevitabilmente anche il ritardo all’accesso alla terapia da parte dei potenziali pazienti e la limitazione dell’uso della stessa a sottogruppi di pazienti, all’interno dell’indicazione approvata. Occorre dunque prepararsi per tempo, per evitare di dover affrontare problemi di scelta molto delicati per il servizio sanitario e fenomeni di disagio da parte dei potenziali beneficiari: chi e sulla base di quali argomentazioni spiegherà ai potenziali pazienti che l’accesso alle cure non è possibile per tutti? Chi deciderà le soglie di accesso e in base a quali criteri?

 

È opportuno, perciò, definire un sistema di gestione e di rendicontazione innovativo rispetto ai farmaci tradizionali, che tenga in adeguata considerazione le caratteristiche intrinseche delle terapie avanzate, ossia:

 

  1. si ha a che fare con terapie create individualmente per i singoli pazienti;
  2. è necessaria la tempestiva ingegnerizzazione della terapia individuale per il singolo paziente e non più la produzione su vasta scala dello stesso principio attivo;
  3. si tratta di terapie che non prevedono un’assunzione estesa nel tempo, bensì una tantum;
  4. il beneficio clinico per il singolo paziente andrà valorizzato congiuntamente ai costi sociali evitati e ai diversi tipi di benefici prodotti, diretti e indiretti che vanno adeguatamente definiti e stimati;
  5. i costi sono sostanzialmente concentrati nel breve periodo e i benefici (e i costi evitati) sono distribuiti su un più lungo orizzonte temporale, con un evidente disallineamento temporale tra costi attuali (che sono quasi tutti upfront) e benefici futuri, di tipo diretto e indiretto: l’aumento della speranza di vita, il miglioramento delle qualità della vita, la cura e la stabilizzazione di diverse patologie (con un evidente impatto sul valore della vita umana); ma anche il risparmio di cure, di consumo di farmaci e di servizi sanitari di diverso tipo; la diminuzione al ricorso agli ospedali, semplificando il numero e il tipo di procedure sanitarie e preservando lo stato di salute dei pazienti; i costi relativi alla riduzione dell’attività lavorativa, di capacità produttiva, fino alla riduzione dell’onere sulle famiglie e le strutture sanitarie per assistere i pazienti; la possibilità, dopo la remissione della malattia, di poter continuare ad istruirsi e a partecipare alla vita collettiva; gli effetti positivi per le prospettive lavorative dei pazienti; l’allungamento temporale dei potenziali oneri pensionistici; il risparmio di risorse consumate direttamente nei centri sanitari e quello delle risorse familiari e di assistenza diretta e indiretta.

 

Si può dunque sostenere che le terapie avanzate hanno chiari elementi di spesa di investimento. Di per sé, anche un anticoagulante (o la stessa aspirina) o un farmaco per la pressione hanno sicuramente effetti sistemici e di lungo periodo sulla salute dei pazienti – e quindi in teoria potrebbero possedere alcuni aspetti di un investimento. Tuttavia, è del tutto evidente che esistono protocolli clinici e terapie specifiche avanzate (dai vaccini fino alle terapie avanzate) per le quali l’elemento di investimento è molto più evidente e incontestabile. Nel caso di un farmaco per la pressione arteriosa, l’effetto di lungo periodo si produce dopo un’assunzione costante e prolungata per un lungo tempo; e comunque l’effetto sistemico sulla salute si produce con il ricorso di molti altri fattori medici, sociali, di regime alimentare e ambientale difficilmente distinguibili e isolabili. Infine, il costo di questi farmaci è decisamente molto contenuto, essi si caratterizzano per un prezzo basso e con l’irrilevanza di fatto delle dimensioni di ricerca e sviluppo e una platea di pazienti trattabili completamente diversa. Quindi, anche se si riconoscessero gli effetti sistemici, essi avrebbero solo una piccola componente di investimento che renderebbe questi prodotti simili a un farmaco comune.

 

In questo contesto, la valutazione economica e contabile abituale, fondata sulla stima del costo dei farmaci e delle terapie tradizionali (che sono ripetute e prevedono un ciclo di cura annuale) e sul criterio di competenza economica tipico dei bilanci, è poco adatta alle terapie avanzate e alle loro particolari caratteristiche tecnologiche e industriali. Esse richiedono un nuovo approccio sanitario, economico, contabile e di finanza pubblica. L’efficacia di queste terapie va verificata nel corso di alcuni anni, quando possono essere compresi e stimati gli effetti positivi, più o meno ampi, che hanno avuto sui protocolli di cura e di trattamento delle diverse patologie affrontate e di qualità di vita dei pazienti; quindi, il notevole risparmio di costi diretti e indiretti che esse permettono.

 

Le terapie avanzate rappresentano dunque una nuova sfida per i sistemi sanitari pubblici. Si tratta di capire quali terapie potranno essere rimborsate, date le risorse disponibili, come adottarle e secondo quale processo amministrativo, finanziario e contabile – in particolare, i metodi e le procedure di reimbursement che dovranno essere adeguate all’essenza sanitaria di queste terapie, per garantire il diritto di accesso a parte dei pazienti potenzialmente elegibili, evitando forme di razionamento o problemi di sostenibilità finanziaria.

 

*Americo Cicchetti, Professore Università Cattolica del Sacro Cuore e direttore di Altems

 

*Antonio Gaudioso, Segretario generale di Cittadinanzattiva

 

*Mauro Marè, Professore di Scienza delle Finanze, Università della Tuscia e LUISS Guido Carli

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