Sanità, con il Covid crescono le disparità tra regioni

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Un sistema sanitario che fatica a reggere l’urto della pandemia, con ricadute sulla prevenzione, l’assistenza ospedaliera e quella territoriale, e una disparità crescente tra Nord e Sud. È il quadro che emerge dall’Osservatorio civico sul federalismo in sanità, giunto alla sua ottava edizione, presentato oggi da Cittadinanzattiva-Tribunale per i diritti del malato nel corso di un web meeting alla presenza anche del ministro della Salute Roberto Speranza.

 

Sulle coperture vaccinali non c’è un’area del Paese che brilli più delle altre, mentre sull’adesione agli screening oncologici il Sud è molto indietro. Ma l’effetto Covid si fa sentire in tutta Italia. L’emergenza sanitaria ha inoltre mostrato quanto le carenze nell’assistenza territoriale e in quella domiciliare accomunino varie aree del nostro territorio. Tra i più penalizzati, i pazienti con malattie rare, che hanno dovuto fare i conti con tagli all’assistenza socio-sanitaria durante il periodo di lockdown.

 

“Così come l’emergenza sanitaria ha portato alla luce l’inadeguatezza dell’assistenza territoriale in troppe aree del nostro Paese”, ha detto al riguardo Antonio Gaudioso, segretario generale di Cittadinanzattiva, “allo stesso modo appare evidente che solo un’idea comunitaria di sanità – che capovolge la relazione fra territorio e ospedale poiché non solo riconosce al primo la stessa centralità dell’ospedale, ma integra quest’ultimo nel territorio e nella comunità e smette di concepirlo come una struttura a sé, autogestita e spesso autoreferenziale – è anche quella in grado di garantire un meccanismo più efficace di lotta alle disuguaglianze”.

 

Se concepita in questo modo, ha sottolineato Gaudioso, la sanitàraggiunge le persone laddove sono, propone percorsi che tengono conto dei loro bisogni di salute e delle informazioni di cui dispongono per soddisfarli, garantisce la prossimità e rende possibili, attraverso essa, politiche di accesso facilitato, di prevenzione, di aderenza alle cure che sono presupposto di salute per tutti i cittadini”.

 

Prevenzione: effetto Covid sugli screening oncologici

 

Nelle coperture vaccinali, lo scorso anno i territori hanno fatto registrare prestazioni variabili da Nord a Sud. Per morbillo, parotite e rosolia (MPR) hanno raggiunto la soglia stabilita del 95% Emilia Romagna, Toscana e Veneto (prima con il 96,4%). Molto indietro la provincia autonoma di Bolzano, 70,8%, che registra performance non adeguate anche per il vaccino esavalente (insieme alla Sicilia) e l’HPV (37,3%). Male sul papillomavirus anche Abruzzo (45,6%), Sicilia (46,1%) e Sardegna (48,1%), bene Umbria (80,5%) e Emilia Romagna (76,5%) che brilla anche per le mammografie (77% di copertura). Screening in cui è fanalino di coda la Campania (22% delle adesioni), all’ultimo posto anche in quello cervicale. Bene la Lombardia nello screening colorettale (71%), molto male la Puglia (4%) e la Calabria (6%).

 

Nella prevenzione l’effetto Covid-19 ha colpito soprattutto gli screening oncologici. Rispetto allo stesso periodo del 2019, nei primi cinque mesi di quest’anno la Toscana registra un ritardo del 40,7% nell’erogazione degli screening mammografici, mentre la Calabria arriva al 71,2%. Supera invece il 72% la riduzione degli screening colorettali in Calabria e Lazio. Ad accentuare i ritardi, in Campania e Calabria, anche la mancanza di mammografi e apparecchiature per Tac e Risonanza magnetica, con una dotazione inferiore alla media nazionale.

 

In terapia intensiva mancano letti, medici e infermieri

 

La seconda ondata non solo non ha consentito di recuperare le prestazioni rimandate, ma ha innescato un effetto valanga, con diverse regioni – Lombardia, Puglia, Calabria e Campania – che hanno hanno optato per una sospensione integrale dei ricoveri, inclusi quelli da garantire entro 30 giorni.

 

Non va meglio per le terapie intensive. Al 9 ottobre 2020 solo Veneto, Friuli Venezia Giulia e Valle d’Aosta risultavano pronte ad affrontare la seconda ondata, con una dote di 14 posti letto per 100mila abitanti, la soglia di sicurezza fissata dal Governo con il Dl Rilancio. Situazione critica in Campania (92 i posti letto in più a fronte dei 499 previsti), Marche (solo 12 posto in più) e Umbria (zero), mentre molte altre regioni sono comunque indietro. Ancora più gravi le carenze del personale sanitario, con un numero di medici e infermieri insufficiente a garantire il fabbisogno delle terapie intensive, con il rapporto tra anestesisti e rianimatori e posti letto sceso da 2,5 a 1,9.

 

I problemi sul territorio: medici anziani e gap Nord-Sud

 

Non va meglio su fronte dell’assistenza territoriale, dove la media nazionale è di un medico ogni 1.211 adulti assistiti. Rapporto che sale a 1/1.400 in Lombardia, mentre il valore minimo si registra in Basilicata con 1/1.037. In genere, ogni medico di medicina generale gestisce in media meno pazienti al Sud che al Centro-Nord. Ma a preoccupare è soprattutto l‘età avanzata dei medici generici (il 73,5% si è laureato più di 27 anni prima), con il rischio di dover fare presto i conti con una forte carenza di organico su tutto il territorio.

 

Pochi al Centro-Sud i posti letto nelle strutture residenziali che oggi in Italia, tra Rsa, case di cura, di riposo e altre, sono 7.372 (l’82,3% sono private, mentre nel tempo sono diminuite quelle pubbliche, 1.302). I posti letto si concentrano per lo più al Nord, mentre il resto d’Italia mostra valori lontani dalla sufficienza.

 

In crescita l’Assistenza domiciliare integrata (ADI), con 868.712 persone prese in carico nel solo 2017. In quattro anni, segnala l’Osservatorio, gli over 65 che ricevono cure a domicilio sono quasi raddoppiati. Il Molise la regione con l’incidenza maggiore, l’8,4%. In ritardo l’istituzione delle Usca (Unità speciali di continuità assistenziale per l’emergenza Covid): delle 1.200 previste ne sono state create la metà, con la Basilicata che registra il tasso di copertura maggiore (107%).

 

Non accenna a diminuire la spesa degli italiani per i farmaci: nel 2019 la spesa totale privata è stata di 8.842 mln di euro, 463 mln in più rispetto all’anno precedente. Dei 1.581 milioni di compartecipazione, solo il 29% è riferibile al ticket fisso mentre il 71% è imputabile al differenziale di prezzo tra farmaco originator (brand) ed equivalente. La spesa pro capite più elevata per la compartecipazione vede al primo posto Sud e le Isole con 23,5 euro l’anno, seguito dal Centro con 20,4 euro e dal Nord con 14,3 euro.

 

Non decolla il Fascicolo sanitario elettronico. Finora tutte le regioni lo hanno attuato, ad eccezione della Calabria, mentre l’Abruzzo lo ha fatto al 36%. Tuttavia, nonostante il decreto Rilancio abbia semplificato le procedure di attivazione, in Basilicata, Campania, Lazio, Marche, Molise la percentuale di cittadini che lo utilizza è compreso tra lo 0% e il 2%. E non va molto meglio in Umbria (9%), Sicilia (17%), Puglia (28%) e Liguria (37%).

 

Le difficoltà delle persone affette da patologie rare

 

Infine, l’indagine effettuata da Cittadinanzattiva su 724 pazienti in tutta Italia per verificare le condizioni di vita e di cura delle persone affette da una malattia rara durante l’emergenza Covid. È emerso che il 23,5% di questi pazienti non è in cura in un centro che fa parte della rete delle malattie rare e che il 66,2% per curarsi è costretto a spostarsi, per lo più al Centro e al Nord, con in testa la Lombardia seguita da Piemonte, Lazio, Toscana, Veneto ed Emilia Romagna. La Campania resta il punto di riferimento per il Mezzogiorno. Il 31,2% dichiara di aver atteso oltre 10 anni per arrivare alla diagnosi, il 23% da 2 a 10 anni, il 12,5% sei mesi.

 

Il lockdown ha aggravato la situazione di questi pazienti. Il 65% ha avuto grandi difficoltà, in particolare a causa dell’interruzione dell’assistenza specialistica (43,7%), per problemi a continuare la terapia (36,2%), per mancanza di assistenza personale (l’8,2%), con l’impossibilità di muoversi e compiere atti quotidiani come vestirsi o lavarsi. Tra le altre difficoltà, quella ad andare in farmacia per paura di contrarre il virus (25,4%) o l’impossibilità di proseguire la terapia a causa della chiusura del day hospital (18,9%). Il 13,6% ha, infine, avuto difficoltà nella consegna dei farmaci a domicilio.

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