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Di malattie rare si parla poco, ancor meno in tempo di Covid-19. Ma ormai la pazienza di questi malati (e delle associazioni che portano avanti le loro istanze), è esaurita. E’ tempo di cambiare rotta, e di farlo in modo concreto.

“Facciamo sì che in ogni delibera, in ogni decreto, in ogni legge, così come si nominano i malati cronici, gli oncologici, si esprima chiaramente anche la specificità delle malattie rare. Il rinnovato assetto governativo ha l’occasione per dimostrare subito se la rotta sia cambiata. Puntate i riflettori anche su di noi. Siamo persone, prima di tutto. E siamo tanti, forti, orgogliosi. Lo dimostrano i sorrisi dei nostri ragazzi”, afferma Annalisa Scopinaro, presidente di Uniamo, la Federazione italiana delle associazioni di persone con malattie rare, nel giorno in cui in tutto il mondo si celebra la Giornata delle malattie rare (www.uniamo.org).

“Oggi, in tutto il mondo si moltiplicano le iniziative per chiedere un segnale di attenzione ai fragili fra i fragili. Le nostre istanze, di Federazione orgogliosa di rappresentare la comunità delle persone con malattia rara, sono rivolte al Governo, ai Parlamentari, alle Istituzioni, alla società civile. Abbiamo bisogno di ascolto e di azioni, alcune anche molto urgenti, che inneschino davvero il miglioramento della qualità di vita di queste persone e delle loro famiglie. Sono stremate: dalla loro patologia, dal sistema burocratico che spesso non le riconosce, dalle trafile che li vedono impegnati per ribadire stati che al più possono essere ingravescenti, non certo regressivi o, magari, miracolati da una guarigione”, sottolinea Scopinaro.

Un appello a cui idealmente sembra rispondere il ministro della Salute Roberto Speranza. “Ci sono battaglie che riguardano tutti anche se sono in pochi a doverle affrontare. La pandemia ha acceso i riflettori sul ruolo imprescindibile della ricerca, perché comprendere e lottare contro ogni tipo di malattia, anche se rara, è nell’interesse della collettività. Questa è la sfida del Servizio Sanitario Nazionale nella tutela della salute come diritto fondamentale”, scrive Speranza sui social, nel giorno dedicato alle malattie rare.

E allora guardiamo al concreto, alle richieste dei pazienti: “Ci servono specialità e prossimità: contare su centri che siano davvero di qualità, non importa dove, e di punti di riferimento e di sostegno vicini a casa. Integrare centri e territorio, eccellenza e prossimità, ospedali e medico di famiglia è un compito di uno Stato efficiente. E sull’innovazione abbiamo bisogno di accelerare sulle terapie, uno sforzo che accomuni tutti coloro che fanno ricerca, nel pubblico e privato”, continua la presidente di Uniamo.

“I malati rari dipendono spesso anche da farmaci e integratori che, con dimostrazione scientifica, possono alleviare alcuni sintomi: facciamo sì che siano introdotti nei Lea, senza ulteriori indugi. E che gli ausili siano quelli più avanzati, attraverso un aggiornamento del Nomenclatore basato sull’innovazione tecnologica, ma prima ancora sulla reale applicazione, omogenea sul territorio nazionale, di quello già vigente dal 2017”, prosegue.

“Il Recovery Fund: facciamo in modo che vi sia una destinazione certa anche per diagnosi, presa in carico, terapia e assistenza sociale dei 1.200.000 italiani che hanno una malattia rara, anche a sollievo delle loro famiglie che molto spesso ne sostengono interamente il carico assistenziale. Un malato raro su cinque è un bambino con meno di 18 anni. Migliaia di famiglie lottano per far quadrare tutti i conti: economici, spesso la mamma lascia il lavoro per seguire il figlio; sociali, per non impoverirsi anche da un punto di vista relazionale – con l’accudimento h24 il rischio è reale; interni, per non lasciare indietro gli altri figli, attori spesso dimenticati di questi drammi familiari”, conclude Scopinaro.

Le malattie rare hanno un andamento cronico, ingravescente e spesso invalidante. Per questo motivo è necessaria l’integrazione tra assistenza sanitaria e l’assistenza sociale: le persone che vivono con una malattia rara e le loro famiglie si trovano spesso a sostenere costi sociali ed economici gravosi. Otto su 10 hanno difficoltà a gestire gli aspetti “ordinari” della vita della persona affetta e della famiglia.

 

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