Covid, Giorlandino: Ecco perché non vaccinare chi è guarito

Claudio Giorlandino
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“I vaccini scarseggiano e bisogna assolutamente evitare di vaccinare i diversi milioni di connazionali già immuni per aver superato l’infezione. Vaccinarli oltre che inutile è dannoso, non solo per i paventati ed infrequenti rischi della vaccinazione, ma perché si tolgono risorse a chi ne ha urgente bisogno”. Lo afferma Claudio Giorlandino, direttore scientifico dell’istituto Clinico Diagnostico di Ricerca Altamedica Roma-Milano, che ha guidato una metanalisi sul tema, sottoposta alla rivista internazionale ‘Virus disease’, che ha preso in esame una serie di studi eseguiti in tutto il mondo sui rischi di reinfezione da Covid.

La metanalisi affronta vari aspetti. Uno fra tutti: durata della risposta immunitaria dopo il vaccino anti-Covid. Che è ancora incerta, oppure no? “Chi fa il vaccino è protetto da una futura infezione, ma quale sia la durata della risposta immunitaria sembrerebbe, ascoltando le opinioni sui media, controverso. E’ noto che, per alcuni virus Rna, come il morbillo e i poliovirus, la prima infezione può fornire un’immunità permanente. Ad oggi, se paragonati all’enorme numero di contagiati, sono stati segnalati in tutto il mondo così pochi casi di reinfezione da Covid-19 da potersi ritenere che tali segnalazioni siano “aneddotiche”e specialmente concentrate negli operatori sanitari che sono riesposti al virus molto intensamente. Esperimenti su scimmie e macachi rhesus con applicazione tracheale di Sars-CoV-2, hanno dimostrato che l’esposizione primaria al virus protegge completamente dalla reinfezione”, afferma l’esperto.

La protezione dalla reinfezione da Sars-CoV-2 nell’uomo è stata dimostrata in tutti gli individui con anticorpi per il Sars-CoV-2. “In questo studio su 1.265 operatori sanitari risultati sieropositivi agli anticorpi diretti contro Sars-CoV-2, la durata della protezione per la maggior parte dei soggetti durava per tutti i 6 mesi di osservazione. Un altro studio ha rilevato titoli anticorpali anti-spike in 30.082 individui sieropositivi, costatando che tali rimanevano per almeno tutto il periodo di osservazione. D’altra parte non si può ignorare che moltissimi lavori scientifici abbiano dimostrato come la risposta immunitaria diretta contro il virus sia di lunga durata”, dice ancora Giorlandino

“Innanzitutto è di fondamentale importanza comprendere che mentre la maggioranza dei vaccini è diretta solo contro la proteina Spike che è soggetta a varianti, le persone infettate presentano spiccata attività panimmunoglobulinica orientata anche contro il capside, che rimane più stabile nel virus. Che gli anticorpi contro il capside, siano fortemente antigenici è dimostrato dal fatto che la loro comparsa è precocissima. Oramai nei soggetti infettati sono stati caratterizzati i linfociti T di memoria specifici per Sars-CoV-2 che sono programmate per rispondere rapidamente al successivo incontro con il virus non appena intercettato dalle cellule preposte (denominate APC). Gli studi relativi ai comuni coronavirus umani dimostrano che gli anticorpi e la protezione dalla reinfezione durano per anni”, sottolinea Giorlandino

Secondo la metanalisi, da studi sulla memoria immunitaria, le cellule di memoria T sono state rilevate anche 17 anni dopo l’avvenuta infezione da Sars-CoV. Coloro hanno contratto la Mers causata dal Mers-CoV presentano anticorpi e cellule di memoria T anche molti anni dopo l’infezione.

“E’ pertanto ipotizzabile, per analogia, che anche il Sars-CoV-2 induca una lunga e valida memoria immunitaria, simile a quella indotta dagli altri coronavirus. Un altro spunto interessante per la immunità dei soggetti guariti da Covid attiene alla risposta alle “varianti” per le quali non è ancora completamente chiaro se saranno coperte dalla immunità acquisita dopo la vaccinazione ma è altamente improbabile che le mutazioni sfuggano all’immunità dei linfociti T nei soggetti infettati, giacché gli anticorpi contro il capside, che presenta un gran numero di antigeni, anche se mutasse, sarebbero richiamati in azione”.

“E’ ragionevole ipotizzare pertanto che l’immunità sarà durevole nel tempo, forse che tutta la vita. Infatti i dati indicano che la memoria delle cellule T, delle cellule B e gli anticorpi “riattivati” da un successivo contatto, persisteranno per anni nella maggior parte delle persone infette. Questa conoscenza è necessaria al buon fine di non incorrere in prescrizioni che, talvolta, anche da parte degli ottimi e validissimi consulenti scientifici, sembrano doversi ricondurre più ad una medicina difensiva che a scelte che discendano dalla conoscenza della realtà oggettiva, epidemiologica e statistica, verificata mediante l’analisi che consegue allo studio rigoroso dei dati riportati dai ricercatori”, conclude.

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