Umanizzazione cure tra benessere spirituale e qualità vita

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L’attenzione agli effettivi bisogni della persona fragile è sempre più presente nelle agende di chi deve prendersi carico della salute dei cittadini. Termini come “umanizzazione delle cure”, “presa in carico a 360 gradi” e “paziente al centro” sono talvolta abusati, e spesso le buone intenzioni non coincidono con i fatti.

Focalizzare l’attenzione sulle reali necessità della persona è la somma di diversi elementi, che poi combinati tra loro danno vita a soluzioni e benefici evidenti per la comunità. Alcuni di questi riguardano la sfera sociale, anche quella più intima. La spiritualità e le credenze sono aspetti della vita di una persona che non posso essere ignorati, soprattutto quando si parla di assistenza e cure.

Conoscere le abitudini religiose, per esempio, può contribuire a costruire un percorso di cura più efficace e sereno, mettendo da parte anche pregiudizi talvolta dannosi. Le persone incontinenti e stomizzate non fanno eccezione, anzi possono essere un utile terreno di confronto per capire come riferirsi a persone con culture diverse che vivono in maniera diversa la fragilità.

Nell’incontinenza fecale ed urinaria, per esempio, esistono molti tabù non detti; entrambe le condizioni possono essere angoscianti sia fisicamente che psicologicamente, con effetti significativi sulla quotidianità. Gli studi che valutano gli effetti dell’incontinenza sulla qualità di vita delle persone hanno esplorato l’esperienza soggettiva di queste condizioni, ma hanno raramente affrontato l’importanza dell’etnia e della base strutturale sociale della malattia, o quali limitazioni una religione o cultura possono imporre a un malato.

Tra le donne musulmane e indù, per esempio, i primi membri della famiglia ad essere informati sulle condizioni di salute sono le donne della famiglia, non i parenti maschi. Tutte le donne sentono di non sentirsi libere di parlare di incontinenza con qualcuno al di fuori della famiglia in generale, perché gli altri potrebbero percepirle come “impura” o “sporca”. I dati provenienti da diversi studi su donne che soffrono di altre condizioni croniche mostrano che l’etnia può giocare un ruolo chiave nell’esperienza della malattia e che questa può essere influenzata da fattori personali, sociali e politici.

Nella legge ebraica, secondo il comandamento della Torah (insegnamento), una persona non può impegnarsi in un compito sacro, come la preghiera o lo studio della Torah, in presenza di escrementi, e i rabbini hanno esteso questa proibizione per applicarla in modo simile all’urina. Le regole islamiche affermano che una persona deve essere in uno stato di pulizia (‘tahaarah’) per eseguire certi atti di culto e perché la preghiera sia valida.

Questo comporta il lavaggio delle braccia, del viso e dei piedi, un bagno completo o la pulizia a secco (con terra, sabbia o polvere pulita) in assenza di acqua.

Altri studi poi mettono in evidenza la correlazione tra i dettami religiosi con la scelta del sesso del sanitario da cui si vuol essere assistito. Come per l’incontinenza anche la stomia è interessata da alcune considerazioni interessanti. Infatti, se ci trovassimo davanti ad un paziente stomizzato di fede musulmana, ortodosso osservante, sarebbe bene conoscere alcuni precetti e pratiche che la persona segue. Come molti sanno, per esempio, molti musulmani pregano cinque volte al giorno, è un atto intimo e importante che segue dei dettami. Normalmente la preghiera si esegue stando in ginocchio e chinandosi più volte.

Questa pratica non può essere sconosciuta nel momento in cui si va verso l’atto chirurgico, verso il confezionamento della stomia. Infatti, dovrà essere posta massima attenzione nel definire la posizione dello stoma (disegno preoperatorio). Un corretto posizionamento potrebbe rendere più semplice la gestione di una stomia; la soluzione, nei limiti del possibile, può migliorare significativamente la qualità di vita delle persone.

È bene sottolineare che le pratiche religiose e le regole annesse non sono vincolanti per tutti gli osservanti o riferite ad una religione specifica, ma in quasi tutti gli studi sul tema è emerso che queste credenze incidono in qualche misura sul processo delle cure, meglio se discussi in maniera corretta con i sanitari.

Anche in queste dinamiche il ruolo delle associazioni pazienti può essere determinante, perché il volontario esperto potrebbe fungere da mediatore tra le prassi consolidate e una nuova visone che tiene conto di aspetti della persona, apparentemente meno funzionali al processo di assistenza e cura. Ignorare questi aspetti sarebbe in contrasto con i principi che sono alla base dell’umanizzazione delle cure.

*Pier Raffaele Spena, presidente nazionale Fais

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