Morire per l’asportazione di un neo?

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Morire in Italia per l’asportazione di un ‘neo’? E’ una vicenda incredibile, quella venuta alla luce nei giorni scorsi: Roberta Repetto, 40 anni, è morta lo scorso ottobre dopo l’asportazione nel 2018 di un neo, che in realtà era un melanoma, nei locali di un agriturismo di Borzonasca, nell’entroterra di Genova.

Un’operazione effettuata, tra l’altro, senza gli esami istologici in grado di chiarire la natura del neo, stando almeno alle indagini che hanno portato all’arresto del chirurgo e della guida spirituale di un centro olistico. Ma si può morire in Italia per togliere un neo?

“Non voglio entrare in merito alla vicenda accaduta che è molto complessa e sarà verificata e giudicata dalle autorità competenti. Il messaggio che vorrei lanciare come presidente Sidemast e vorrei arrivasse a tutti è che non si muore per l’asportazione di un neo, come viene enfatizzato nei titoli di tutti i quotidiani. Quello che è stato asportato era sicuramente già un melanoma, quindi un tumore maligno“, sottolinea Ketty Peris, presidente della Società italiana di dermatologia e delle malattie sessualmente trasmissibili dopo la morte della donna di Genova, morta di cancro dopo l’asportazione di un neo senza accertamenti”.

“Il rischio di tali affermazioni – continua Peris – è di creare una convinzione estremamente sbagliata e pericolosa. Pertanto, è necessario precisare che un neo non può dare metastasi, meno che mai se viene asportato. Questo deve essere compreso dalla popolazione altrimenti si rischia di ritornare ad un falso e vecchio concetto che era quello che ‘i nei non si toccano altrimenti si muore’, o ‘la tal persona è morta dopo l’asportazione del neo'”.

“Noi dermatologi abbiamo impiegato tanti anni ed energie a spiegare ai nostri pazienti che queste affermazioni derivavano da un’idea sbagliata e superata, causata dal fatto che quello che veniva asportato era già un melanoma e non un neo, e che la diagnosi era sicuramente tardiva. Quando si asporta chirurgicamente un “neo” il nostro corpo e il nostro sistema immunitario non hanno alcuna ripercussione, alla fine l’unica conseguenza possibile è la presenza di una cicatrice sulla pelle”.

Le fa eco Gabriella Fabbrocini, consigliere Sidemast: “Questa vicenda ancora una volta dimostra l’importanza di un corretto approccio diagnostico-terapeutico quando si trattano lesioni pigmentate. Le linee guida Sidemast, redatte dai dermatologi, chiariscono bene l’importanza di una diagnosi istologica quando si asportano lesioni pigmentate, definite genericamente nevi , soprattutto perché oggi la diagnostica dermoscopica, che i dermatologi maneggiano egregiamente, consentono a priori di sapere se si tratta di lesioni a rischio e che quindi impongono indifferibilmente l’esame istologico della lesione”.

Insomma, non si muore per l’asportazione di un neo, e oggi i professionisti sono in grado di distinguere un neo da un melanoma anche prima di intervenire. E di agire di conseguenza.

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