Infertilità, Covid e stop cure pesano sulle coppie

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La pandemia da Covid-19 ha pesato anche sulle coppie con problemi di infertilità. I ritardi nel ricorso a visite andrologiche e a procedure di conservazione dei gameti, accumulati per colpa della pandemia, si sono sommati alla cronica tendenza a sottostimare e trascurare le cause maschili di infertilità.

In quest’ultimo anno e mezzo le coppie sono però ‘invecchiate’ e il tempo perduto, essenziale quando si parla di infertilità, potrebbe comportare un rischio irrimediabile di sterilità o la riduzione significativa della percentuale di successo delle procedure di procreazione medicalmente assistita (Pma).

Se prima di Covid-19 una coppia infertile su 4 trascurava diagnosi e cura delle cause maschili di infertilità (responsabili delle difficoltà a concepire nella metà delle coppie), durante il lokdown la situazione è peggiorata. Così una coppia su 2 non si è rivolta all’andrologo, rischiando oggi, in molti casi irrimediabilmente, la sterilità. Lo segnalano gli esperti della Società italiana di andrologia (Sia), in vista della presentazione del primo documento di consenso sulla gestione del maschio infertile, che si terrà durante la Conferenza della Sia a Palermo il 2 e 3 luglio.

Nel documento sono elencate le indicazioni condivise sulle procedure diagnostiche necessarie e su quando eseguirle, gli interventi sugli stili di vita che si sono dimostrati efficaci, l’impiego di integratori e le raccomandazioni in ambito lavorativo.

La prima e più importante raccomandazione resta tuttavia quella di affrontare sempre il problema di infertilità maschile, in parallelo a quello femminile, con una terapia andrologica dove necessario in preparazione di una Pma. Per rispondere a tutti i dubbi e fornire informazioni anche in tema di fertilità maschile, prosegue l’iniziativa Sia ‘L’andrologia italiana risponde’: gli esperti saranno disponibili tutti i giorni dalle 10 alle 19 al numero verde 800-995125 fino al 30 giugno.

“Un maggior successo della Pma o una gravidanza naturale sarebbero possibili per molte delle coppie che si rivolgono ogni anno ai Centri per la fertilità, se solo si realizzasse una maggior sinergia fra ginecologi e andrologi nella prevenzione, diagnosi e cura dell’infertilità – sottolinea Alessandro Palmieri, presidente Sia e professore dell’Università Federico II di Napoli – La pandemia, con l’aumento delle difficoltà di accesso alle visite e alle procedure di conservazione dei gameti, che sono state garantite solo per i pazienti oncologici, ha ulteriormente peggiorato il quadro”.

“Durante il lockdown una coppia su due ha trascurato le cause maschili di infertilità e oggi rischia di dire addio al sogno di un figlio per il mancato o ritardato ricorso a consultazioni e procedure, che per il tempo trascorso, essenziale quando si parla di fertilità, ha ‘invecchiato’ le coppie”.

Negli ultimi 30 anni l’infertilità maschile è raddoppiata e oggi si stimano 2 milioni di italiani ipo-fertili e oltre 250mila coppie ritenute infertili. Alcol, fumo, obesità, sedentarietà, alimentazione scorretta, infezioni trascurate, ma anche la diagnosi tardiva di patologie come il varicocele, sono tutti fattori che stanno compromettendo la fertilità maschile.

Inoltre, ammoniscono gli esperti, anche l’uomo ha il suo orologio biologico: la sua capacità riproduttiva dopo i 40 anni diminuisce con il passare del tempo e, anche se la fertilità maschile è più longeva di quella femminile, ritardare oltremodo la paternità può compromettere non poco le possibilità di avere un figlio. Per dare indicazioni condivise su tutti questi temi, gli esperti di infertilità maschile di Sia hanno messo a punto il primo documento di consenso che nasce dalla mancanza in Italia di linee guida ufficiali per la gestione clinica del maschio infertile.

“E’ necessario colmare questo importante vuoto fornendo ai professionisti i migliori standard di cura per ottimizzare la fertilità del maschio. Il documento di consenso risponde in modo autorevole a questa esigenza e indica quali siano i testi diagnostici da effettuare, dai test ormonali alla valutazione dello stress ossidativo, fino al test di frammentazione del Dna dello spermatozoo, specificando in quali situazioni cliniche siano più utili – riprende Bruno Giammusso, responsabile scientifico della Conferenza e andrologo presso il policlinico Morgagni di Catania – Il documento inoltre conferma l’utilità degli interventi sullo stile di vita e l’alimentazione e promuove i nutraceutici con specifiche indicazioni. Ribadisce il ruolo di alcuni fattori di rischio professionali come l’esposizione al calore e ad alcuni contaminanti chimici”.

“Mettere in campo tutte le corrette pratiche di prevenzione, diagnosi e terapia significherebbe intercettare i problemi delle coppie almeno dieci anni prima. Trattare il partner maschile può inoltre evitare procedure inutili o quantomeno consentire il ricorso a procedure assistite a più basso grado di tecnologia, migliorando fino al 50% la probabilità di successo: per questo è necessario aumentare l’informazione, così che gli uomini con problemi di fertilità si rivolgano con fiducia all’andrologo”.

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