Covid, chiarezza su immunità e anticorpi

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Rilevo con sorpresa, che da parte di alcuni, stimati studiosi e addirittura da parte di comitati tecnici scientifici, si continua confondere l’immunità con gli anticorpi. Gli anticorpi rappresentano solo una parte dell’immunità. Questa è invece un meccanismo più complesso e profondo che comprende almeno due fasi: quella umorale (appunto gli anticorpi circolanti) e quella cellulare che rappresenta la vera e propria difesa immunitaria che, nei soggetti permane per anni, ed a volte per tutta la vita, una volta che il soggetto viene a contatto con un agente infettivo e particolarmente con un virus.

Questa confusione porta erroneamente a ritenere che bisogna vaccinare chi ha una bassa carica anticorpale ritenendolo indifeso. Ciò è vero solo se flessione interessi entrambe le immunità, ma in genere questo non accade, la immunità cellulare si protrae a lungo.

Lo studio che i ricercatori del Centro di ricerca scientifica Altamedica di Roma, Katia Margiotti e Marco Fabiani, coordinati da Alvaro Mesoraca, stanno conducendo tra i primi, punta proprio ad analizzare la presenza di cellule di memoria (nella fattispecie linfociti B di Clusters CD 19+, CD27+, spike positive) in soggetti vaccinati (immunità indotta o acquisita) e soggetti guariti (immunità naturale) a distanza di molti mesi dalla vaccinazione o dalla infezione mediante citometria a flusso.

Lo studio si sta concentrando proprio in quei soggetti che hanno un basso titolo anticorpale. Che gli anticorpi scendano, in tutti, è nozione di immunologia di base, giacché questi hanno una emivita che dura in genere 28 giorni e che scende progressivamente fino a rimanere, nella maggior parte dei soggetti guariti o vaccinati, addirittura per tutta la vita, anche se in genere a basso titolo anticorpale. Ciò non vuol dire assolutamente che non siano comunque perfettamente protetti dall’infezione, perché le cellule di memoria sono pronte a ripartire producendo grandi quantità di anticorpi, trasformandosi immediatamente in plasmacellule produttrici di IgG una volta che le “cellule sentinella”, composte da linfociti circolanti dette Antigen Presenting Cells, vengano nuovamente a contatto con il virus.

Per Covid-19 prima non avevamo informazioni dirette ma, per analogia con altre infezioni precedenti, come la Sars e la Mers, si può ipotizzare lo stesso comportamento che dimostra persistenza di immunità cellulare a distanza rispettivamente di 6 e 17 anni, come abbiamo riscontrato e pubblicato in una nostra recente metanalisi (Acta Virologica 2021). Fino a poco tempo fa però non era certo se anche per il Sars-CoV-2 esistesse una memoria immunitaria cellulare persistente.

Il “consort diagram”della nostra ricerca mette in correlazione soggetti con immunità naturale (guariti) e soggetti vaccinati a distanza di tempo dalla vaccinazione o dalla guarigione correlando le cellule di memoria con la quantità di anticorpi circolanti.

Allo stato attuale lo studio non è ancora pubblicato, ma è in corso di conclusione il“pilot study”. I risultati, anche se ovviamente non conclusivi – ci preme anticiparli per sollevare l’attenzione verso gli organi preposti alle indicazioni vaccinali – sono assolutamente inequivocabili e confermano i primi studi già esistenti: l’immunità cellulare persiste molto più a lungo di quella umorale, soprattutto nei soggetti guariti, ma anche nei vaccinati ed indipendentemente dal vaccino (variabile indipendente), e rappresenta la vera difesa contro le reinfezioni e la contagiosità dell’individuo.

Non si ignorino i più approfonditi e recenti studi internazionali sulla immunità cellulare Sars-CoV-2 (Rodda LB e coll. Cell2021; Jennifer Dan e coll. Science2021; Ansari A e coll. Front Immunol. 2021; Dan JM, Mateus e coll. bioRxiv. 2020;Achiron A. e coll,Clin Microbiol Infect. 2021), che dimostrano inequivocabilmente che i soggetti guariti posseggono una memoria immunologica cellulare specifica per lunghissimo tempo.

I nostri dati preliminari confermano che le cellule B di memoria IgG specifiche di Sars-CoV-2 sono aumentate nel tempo. Linfociti di memoria specifici di Sars-CoV-2 hanno mostrato caratteristiche associate a una elevata funzione antivirale anche nella componente T che funge come un potente rafforzativo immunitario, secernendo citochine attive nel processo antivirale non appena il virus torni a contatto con un soggetto guarito.

Alla luce di queste evidenze biologiche, sinceramente inspiegabile risulta la scelta, anche da parte di Agenzie internazionali e Comitati tecnico scientifici, di fornire indicazioni sull’osservazione, miope, che l’immunità dipenda solo dagli anticorpi circolanti. Si esorta quindi a valutare con attenzione gli studi di immunologia cellulare prima di arrivare a conclusioni che possono non essere biologicamente e clinicamente giustificabili e portare a proseguire, come detto, con dosi di vaccino superflue (se non dannose) al solo scopo di indurre una semplice risposta umorale assolutamente non necessaria.

*Claudio Giorlandino MD, Altamedica Roma-Milano Istituto Ricerca scientifica, president of Italian College of Feto Maternal Medicine

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