Riunioni a distanza, la sindrome da videoconferenza

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Qualche che sia la piattaforma che usiamo, quando ci troviamo per ore a discutere con altri non di persona ma attraverso la mediazione dello schermo di un Pc o dello smartphone alla fine della riunione ci sentiamo stanchi. Ed abbiamo sempre il sospetto che probabilmente la tecnologia, così utile per mantenere i rapporti professionali e non in tempo di Covid-19, non sia del tutto amica del nostro benessere psicologico.

Per chi ha provato queste sensazioni, con la percezione di dover fare un’attenzione spasmodica per non perdere passaggi durante una lezione frontale o in un percorso complesso da parte dell’interlocutore, la scienza prova a dare una risposta. E in qualche modo da ragione a chi desidera tornare alle vecchie e ormai spesso desuete sale riunioni, con il caffè in compagnia e magari la battuta che va ad alleggerire il meeting.

Sia chiaro: non stiamo parlando solamente di aspetti psicologici. Ci sarebbe (il condizionale è d’obbligo, visto che siamo nel campo della teoria) infatti una sorta di “sindrome”, caratterizzata soprattutto dalla disponibilità di una rete davvero efficiente, che non va sottovalutata e nasce negli impercettibili (almeno su scala macro) ritardi tra l’effettiva emissione del suono e la percezione da parte di chi ascolta.

A provare a svelare questo segreto, con il conseguente maggior “peso” in termini di impegno ed attenzione per seguire quanto avviene sulla piattaforma è una ricerca pubblicata su Journal of Experimental Psychology e coordinata da Julien Boland, docente di psicologia e linguistica all’Università del Michigan. La chiave per comprendere i motivi dell’esaurimento mentale legato alle ore passate in riunione a distanza, così come per chi fa ore di lezioni in Dad, sarebbero da collegare al tempo che passa tra chi parla effettivamente e la percezione di quanto ascolta il ricevente.

Siamo nell’ordine dei millisecondi di possibile sfasatura temporale, ma anche un leggerissimo e impercettibile ritardo può mettere a disagio il cervello, visto che impone un lavoro extra ai cosiddetti oscillatori neurali, vere e proprie onde cerebrali che hanno il ruolo di regolare (senza ovviamente che ce ne accorgiamo) gli eventuali impercettibili ritardi nella percezione delle sillabe. Quando però per motivi di collegamento, di rete o per altre cause il sistema di sincronizzazione autonomo del nostro cervello non riesce ad essere perfettamente efficiente, occorre uno sforzo supplementare per seguire e prepararsi a rispondere.

Secondo la teoria dei ricercatori, in questi casi potrebbe presentarsi quella che si può definire “sindrome da videoconferenza” con la necessità di uno sforzo del tutto autonomo per rimettere in regola questi sistemi di stabilizzazione dell’informazione. Insomma: per chi ha la sensazione di affaticarsi molto di più con le riunioni a distanza rispetto al “rendez vous” fisico forse non ha tutti i torti.

Questa sorta di ritardo di trasmissione e l’attenzione per seguire quanto chi parla sta dicendo possono rendere più complesso seguire senza troppo sforzo il percorso della riunione sulla piattaforma, richiedendo l’entrata in gioco di meccanismi cognitivi più complessi e comunque meno automatici, con il possibile esito finale di una maggior fatica.

 

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