Lingue e dialetti in via d’estinzione

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Chi va in bicicletta diventa biker. Il lavoro agile, da casa, che definiamo smart working. E pensate a quante volte abbiamo detto lockdown in questi mesi di pandemia da Covid-19. Col tempo, anche in senso linguistico, le differenze si appianano e le parole diventano le stesse in tutto il mondo. Così si affievoliscono i dialetti, si perdono man mano le parole che caratterizzano i cento, mille idiomi di ogni area d’Italia e del mondo, si dimenticano le introspezioni linguistiche che hanno portato Fabrizio De Andrè a scrivere opere come Creuza de Ma.

Insomma, stiamo rischiando di perdere un patrimonio di conoscenze, cultura, tradizione che fanno le differenze tra i tanti Campanili d’Italia, con le inflessioni e i termini dialettali che qualche decennio fa erano la norma nei rapporti interpersonali. Su questo fronte, anche la scienza lancia l’allarme. Arriva da lontano, da una ricerca degli studiosi dell’Università nazionale australiana con altri istituti pubblicata su Nature Ecology and Evolution, che segnala come quasi la metà delle circa 7000 lingue parlate in tutto il mondo (dialetti locali esclusi) sarebbe a rischio.

Non solo. Entro la fine di questo secolo, potremmo perdere definitivamente circa 1500 diversi lingue. La ricerca, insomma, ci mette in guardia. E segnala l’importanza di mettere in atto contromisure che siano efficaci, sulla scorta della valutazione di una serie di indicatori che possono aiutare a prevedere quanto sta accadendo e come frenare questa via che appare imboccata.

Tra i “fattori di rischio”, ci sarebbe, ad esempio, l’aumento degli anni di scolarizzazione, così come sembra favorire l’integrazione sociale e linguistica, con conseguente progressiva perdita di idiomi locali, anche lo sviluppo di strade e vie di comunicazione. In pratica, quindi, più la gente è in contatto, mettiamoci anche le invisibili ma efficacissime vie di comunicazione del web che riuniscono persone a migliaia di chilometri di distanza, tanto più c’è il rischio che parlate estremamente localizzate si perdano per strada, “ingoiate” da lingue nazionali se non internazionali.

Non è un caso che lo studio venga proprio dall’Australia, per la grande ricchezza di idiomi delle tanti tribù indigene. Gli esperti ricordano nella loro ricerca che prima della colonizzazione del grande Paese erano oltre 250 le diverse lingue parlate, mentre ora siamo solo a quota 40 e soprattutto sono circa una dozzina quelle che i bambini apprendono, in qualche modo. La ricerca, insomma, tira in ballo anche il percorso didattico.

Sarebbe importante, anche da noi, che nei più piccoli si mantenesse l’attenzione al dialetto dei nonni, magari attraverso corsi specifici da attuare nelle aule. Anche se non esiste certo la varietà di idiomi che possono essere presenti in Australia, le diversità linguistiche vanno preservate ed è importante che si conservi la memoria di parole e frasi che non debbono essere perdute. Per non perdere, con i termini e i detti, anche un pizzico di identità di ogni persona. E per non lasciare senza un patrimonio importante le generazioni future.

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