Covid, per over 50 stop lavoro senza super green pass

Covid green pass
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Dimenticare a casa il telefonino potrebbe rivelarsi un problema per i lavoratori over 50. Da oggi infatti scatta l’obbligo del super green pass per andare in ufficio o in azienda. Un provvedimento voluto dal governo in pieno picco della quarta ondata, e che nelle scorse settimane ha spinto molti cinquantenni esitanti a sottoporsi al vaccino anti-Covid.

Da qualche tempo, però, la crescita delle vaccinazioni in questa fascia di età ha rallentato, come ha segnalato anche la Fondazione Gimbe. Si stima che siano 500mila i lavoratori over 50 senza super green pass. E la frenata della corsa del virus, che ieri ha segnato 28.630 nuovi positivi e 281 morti, ha indotto Matteo Salvini a ribadire la richiesta di archiviare rapidamente il super green pass (già dal mese prossimo).

Non dimentichiamo che il certificato rafforzato, ottenibile solo da chi si è vaccinato o è guarito, è obbligatorio anche per viaggiare in treno o in aereo, su bus e metro, ma anche per andare allo stadio, in palestra o in piscina – e adesso in discoteca – ma anche per vedere una mostra o andare al ristorante.

Se la validità del super certificato verde, al momento, è fissata al 15 giugno, il suo futuro è nebuloso. E più di un esperto preme perché la misura sia conservata. “Il green pass serve ancora e, insieme alla vaccinazione, deve diventare uno dei due perni della nuova normalità”, ha detto alla ‘Repubblica’ Walter Ricciardi, consigliere del ministro alla Salute Roberto Speranza da quando è iniziata l’emergenza Covid.

Intanto dalla ricerca arrivano buone notizie per i vaccinati. Protagoniste le cellule T, che fanno parte delle nostre difese immunitarie. Ebbene, secondo un recente studio condotto tra Stati Uniti e Italia, sembra che proprio le cellule T contribuiscano a rendere efficace il vaccino anti-Covid anche dopo 6 mesi. E contro tutte le varianti, Omicron compresa.

Lo studio, pubblicato su ‘Cell’, è firmato dai ricercatori del La Jolla Institute for Immunology di San Diego, in collaborazione con i colleghi dell’Itcss Ospedale Policlinico San Martino di Genova e l’Università di Genova.

Analizzando le cellule T di persone vaccinate con 4 differenti anti-Covid (Pfizer-BioNTech, Moderna, Johnson & Johnson e Novavax), i ricercatori hanno osservato che la reattività delle cellule T a sei mesi è in media dell’87-90%, rispetto a quella iniziale post-vaccinale. E si riduce lievemente all’84-85% contro Omicron, indipendentemente dal vaccino ricevuto. Insomma, il team ha dimostrato che, sebbene gli anticorpi – come si è già visto in passato, in media si riducano rapidamente dopo 4-6 mesi dall’iniezione – grazie alla memoria dei linfociti T il sistema immunitario dei vaccinati produce una risposta duratura ed efficace contro tutte le varianti note di Covid-19. 

Ma non solo. “È plausibile che il vaccino possa frenare anche le future varianti – ha spiegato alla stampa Gilberto Filaci, direttore dell’Unità di bioterapie del San Martino – perché è stato osservato che le cellule T di ogni individuo vaccinato sono ‘allenate’ a riconoscere non un solo elemento della proteina Spike, ma in media una ventina di pezzetti diversi del virus. Ciò rende molto poco probabile che il virus generi eventuali future varianti tali da renderlo capace di sfuggire del tutto al riconoscimento e all’eliminazione da parte delle cellule T”.

Una scoperta che tranquillizza, in questa fase della pandemia ma anche in prospettiva, il 91,10% della popolazione italiana over 12 che ha ricevuto almeno una dose di vaccino.

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