Ricerca, il naso artificiale dai superalcolici alle diagnosi

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Diciamolo. Per molte persone, il classico bicchiere di superalcolico è il coronamento ideale del pranzo un po’ abbondante. Dopo un quadretto di cioccolato, meglio se fondente, diventa una sorta di momento di riflessione con aromi che invadono le cellule olfattive e sapore unico, anche se a volte un po’ acre, che si percepisce attraverso le papille gustative, in un cocktail di percezione davvero unico.

In molti casi, è il classico whisky a chiedere il pomeriggio. E sarebbe importante poter degustare con la coscienza di portare alla bocca un prodotto di qualità, magari sulla scorta della scelta che si è fatta al momento dell’acquisto. Per chi non è sommelier e non ha grandi competenze, riconoscere uno scotch da un whisly irlandese o capire se si è di fronte ad un blended può non essere facile. Ed allora?

Allora ecco che la tecnologia arriva in soccorso con una sorta di naso artificiale specializzato, capace di guidarci nei meandri degli aromi e dei sapori di questo fine pasto dedicato alla riflessione.

A proporre questa soluzione, per ora solo sperimentale, è una ricerca coordinata da Steven Su dell’Università di Sidney, pubblicata su IEEE sensors. L’E-nose, così è stato ribattezzato il dispositivo, è specializzato per lo studio del whisky e sarebbe capace di rilevare, in pochi minuti, le caratteristiche di alcuni prodotti di diverse marche, con un’accuratezza del 100% per rilevare la vera origine del distillato e di oltre il 95% per il marchio, “perdendo” qualcosina in termina di invecchiamento.

In pratica il sistema si basa su una serie di sensori capaci di percepire le sostanze volatili che vengono emanate dal whisky presente in una fialetta: invia le segnalazioni ad un sistema di autoapprendimento e, grazie all’Intelligenza artificiale, tende ad aumentare progressivamente le proprie capacità. In futuro potrebbe diventare molto utile anche per i profumi e altri prodotti.

Anche se lo strumento, una volta testato definitivamente, potrebbe essere destinato a pochi estimatori, questo prototipo ripercorre uno degli obiettivi che tanto appaiono importanti anche in medicina. I risultati su questi strumenti di diagnosi, pur se affascinanti sono ancora contrastanti su questo fronte e la speranza è che magari dal whisky si potrebbe arrivare a sistemi di diagnosi precoce per diverse patologie. In questo senso, le esperienze sono davvero varie anche se i risultati non sono conclusivi.

Negli anni scorsi, ad esempio, è balenata la possibilità di fare diagnosi di tumore polmonare con sistemi di questo tipo come ha osservato uno studio di un gruppo di ricercatori della Cleveland Clinic Foundation nell’Ohio guidati da Serpil Erzurum, pubblicata sulla rivista american Journal of Respiratory and Critical Care Medicine.

Gli studiosi d’oltre Oceano hanno realizzato un prototipo di naso elettronico in grado di cogliere composti organici che vengono immessi nell’ambiente, del tutto simile ad altri strumenti olfattivi tecnologici che già vengono impiegati nell’industria alimentare. Dopo una prima “misurazione” effettuata per “tarare” questo originale strumento su quattordici persone colpite da tumore e quarantacinque soggetti sani, è poi partita la vera e propria sperimentazione clinica.

Il naso artificiale ha dovuto “svelare” i misteri chimici invisibili presenti nel respiro di 14 persone colpite da tumore e 62 individui sani e si è comportato bene. In particolare ha identificato correttamente il 71% dei malati, ed è arrivato addirittura a confermare le diagnosi negativa nel 92% dei soggetti sani, utilizzati come controllo.

Questo secondo dato è di estrema importanza visto che oltre al rischio di ottenere falsi negativi, cioè persone che effettivamente hanno il tumore ma questo non viene scoperto, in questi test che potrebbero proporsi per fare screening su ampie fasce di popolazione occorre anche puntare su un ridottissimo tasso di falsi positivi, ovvero di persone sane cui viene diagnosticato un tumore.

Così, forse occorrerà affidarsi all’olfatto di “Fido”. Veri e propri “segugi” hanno dimostrato – lo prova uno studio – di saper cogliere minime variazioni nella composizione chimica di prodotti organici come le urine, aprendo prospettive per la diagnosi di malattie della vescica. La conferma viene da una recente ricerca apparsa sul prestigioso British Medical Journal, che ha dimostrato come l’olfatto di cani addestrati potrebbe diventare un’arma per identificare le prime alterazioni tumorali della vescica. L’importante è ricordare quanto l’olfatto può e deve aiutarci. Sia elettronico che animale.

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