Se l’artista è un computer, Intelligenza artificiale e pregiudizio

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Ci affascina molto, un po’ ci spaventa, ma soprattutto attira investimenti ingenti da parte di settori diversi, dall’industria manifatturiera alla chimica. Ma se parliamo di arte, l’intelligenza artificiale parte con l’handicap.

Secondo un nuovo studio, coordinato dalla Sapienza di Roma, emerge infatti il pregiudizio inconscio che gli esseri umani hanno verso l’impiego dell’intelligenza artificiale nella realizzazione di opere d’arte.

Anche se l’intelligenza artificiale fa parte ormai della nostra vita, insomma, non le riconosciamo ancora la capacità creativa necessaria per la realizzazione di un quadro o di una scultura.

Una nuova ricerca di neuroestetica, scienza che studia le basi neurobiologiche della percezione del bello nelle opere d’arte, coordinata per Sapienza da Fabio Babiloni e da Giulia Cartocci del Dipartimento di Medicina molecolare, ha dimostrato infatti che le persone nutrono un pregiudizio inconscio nei confronti dell’intelligenza artificiale in un contesto artistico, in particolare rispetto alla capacità di creare opere d’arte.

Insomma, nel nostro giudizio su una singola opera non solo siamo influenzati dalla conoscenza dell’autore, ma guardiamo con scetticismo quelle che pensiamo essere frutto di un’intelligenza artificiale (IA). Anche se magari l’autore è un essere umano.

Lo studio, condotto presso la fiera d’arte ArtVerona, è frutto della collaborazione tra la startup di Sapienza BrainSigns, di cui fanno parte Fabio Babiloni, Giulia Cartocci e Dario Rossi, e il collettivo di artisti e ricercatori Numero Cromatico, che include Dionigi Mattia Gagliardi, Salvatore Gaetano Chiarella e Giulia Torromino.

Al centro della ricerca, i fruitori di una fiera d’arte. Come spiega Fabio Babiloni, coordinatore dello studio “sono stati utilizzati due dipinti astratti (Test Verbovisivi, Dionigi Mattia Gagliardi 2015), mai esposti precedentemente e analoghi per forme e caratteristiche di salienza, dichiarandoli ai partecipanti, secondo uno schema pseudorandomizzato, alternativamente come prodotti da ‘umano’ o da ‘IA’. I partecipanti sono poi stati osservati misurandone la percezione emozionale, mediante sensori di battito cardiaco e conduttanza cutanea, e la percezione dichiarata in risposta a domande specifiche”.

ArtVerona ha coinvolto 25.000 visitatori, di cui circa 3.000 hanno visitato lo stand dello studio e 150  hanno partecipato alla ricerca.

I risultati, pubblicati su Computers in Human Behavior, hanno mostrato che il pubblico indicava come meno piacevole il quadro il cui autore dichiarato era l’IA se valutato dopo aver visto quello dichiarato come prodotto dall’uomo. Ma si registrava anche una maggiore risposta di coinvolgimento emotivo in corrispondenza del secondo quadro, indipendentemente dal fatto che fosse dichiarato come generato da IA o da artista umano.

“Abbiamo ottenuto – continua Fabio Babiloni – un dato importante in ambito estetico, soprattutto alla luce del momento storico che stiamo vivendo, caratterizzato da un’ascesa delle tecnologie creative e intelligenti, molte delle quali sono in grado di produrre opere d’arte originali”.

“Si tratta – conclude Fabio Babiloni – di un territorio di studi molto fertile che, attraverso un approccio interdisciplinare tra arte e neuroscienze, non solo può dare nuove chiavi di lettura del concetto di autorialità, ma può anche aprire la strada a nuovi scenari sulla creazione e sulla fruizione dell’opera d’arte”.

I due gruppi stanno portando avanti ulteriori ricerche, tra cui uno studio all’interno della mostra SUPERSTIMOLO di Numero Cromatico presso il Museo MAXXI di Roma, dove è stato possibile considerare anche la reazione cerebrale avvalendosi del sistema Mindtooth, sviluppato con i fondi dell’Ue e già utilizzato recentemente nel progetto NeuroDante, per la valutazione della reazione cognitiva e emozionale delle persone alla lettura e ascolto della Divina commedia.

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