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Sanità pubblica al bivio tra attese, rinunce e speranze

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Quanti di voi, di fronte alla prospettiva di attendere anche diversi mesi prima un esame diagnostico o una visita specialistica, hanno rinunciato mettendo mano al portafogli? Non è sempre possibile, certo. Ma sappiamo che se chi può si rivolge al privato, altri semplicemente ormai rinviano le cure (e talvolta vi rinunciano).

Una conferma arriva dalla recente indagine Ipsos in collaborazione con Fimmg (Federazione italiana medici di medicina generale): a tre quarti degli italiani è capitato di rinunciare alle cure presso il Ssn, ma per due su tre la sanità deve essere pubblica. Insomma, ci troviamo in una fase delicatissima per il sistema, stretto tra carenza di operatori (medici e soprattutto infermieri) e bisogni di una popolazione che, invecchiando, si trova a veder moltiplicati piccoli e grandi ‘acciacchi’.

Un patrimonio su cui investire (anche personalmente)

Se la pandemia ha contribuito a ricordarci l’importanza della salute, l’impatto di anni di definanziamento e la pressione subita in epoca Covid non hanno fatto bene al Ssn. “Il valore della sanità pubblica è riconosciuto e difeso dagli italiani, nonostante il rammarico per tempi di attesa e scarsa capillarità dei servizi sul territorio”, sintetizza Andrea Scavo, direttore dell’Osservatorio ItaliaInsight di Ipsos che ha curato l’indagine. “Le nostre indagini registrano costantemente una grande sensibilità degli italiani, che considerano la sanità una delle priorità nazionali e, aspetto più unico che raro, si dichiarano disponibili anche a sostenere un aumento delle tasse, pur di migliorarne i servizi”, aggiunge Scavo.

L’ultima indagine

Ma vediamo meglio i risultati del sondaggio, condotto da Ipsos in occasione della Giornata mondiale della Salute. Il 74% del campione ha dovuto rinunciare almeno una volta ad una prestazione del Sns a causa dei tempi di attesa (è accaduto più frequentemente al 65% dei cittadini). E il 57% lo ha fatto perché la prestazione non era erogata nella propria zona.

L’80% dei cittadini che hanno rinunciato a curarsi nel Ssn ha avuto comunque la possibilità di rivolgersi a un servizio privato, mentre il 16% ha del tutto rinunciato alle cure. Un dato preoccupante, ancor più se pensiamo che la percentuale tende a raddoppiare tra le fasce della popolazione in difficoltà economiche e socialmente più marginali.

Ma nonostante tutto il 64% del campione pensa che la sanità debba essere esclusivamente pubblica “ad ogni costo” (la metà accetterebbe anche un aumento delle tasse se finalizzate a sostenere il Ssn), mentre il 26% accetterebbe un sistema misto pubblico-privato.

La medicina di famiglia

“L’offerta specialistica risente in tutto il Paese di una insufficiente disponibilità di risorse economiche ed organizzative per garantire i livelli essenziali di assistenza, e a questo si aggiunge la difficoltà per molti cittadini di raggiungere il luogo in cui la prestazione viene offerta, spesso troppo lontana dai luoghi di vita delle persone”, riflette Silvestro Scotti, segretario nazionale della Fimmg. In questo quadro, che ruolo ha la medicina di famiglia? Ebbene, “la medicina generale si riconferma ancora una volta l’unico vero baluardo del Servizio sanitario nazionale strutturalmente adeguato a fornire ai cittadini un’assistenza di prossimità, gratuita e accessibile a tutte le fasce socio-economiche, trasversalmente in tutto il Paese”, puntualizza Scotti.

“L’accesso alle prestazioni indifferibili dal proprio medico non prevede liste di attesa, mentre le visite programmate vengono effettuate entro pochi giorni. Per questi motivi i cittadini non rinunciano alle prestazioni del proprio medico di famiglia, a differenza di quello che accade in altri ambiti”, conclude Scotti, convinto che la difesa del servizio sanitario pubblico passi “attraverso la difesa della medicina generale”.

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